20 Aprile 2024, sabato
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Avv: Andrea Gagliardi: ‘’ La politica oggi elabora una realtà che potremmo definire ontica’’

A cura di Ionela Polinciuc

Il 20 gennaio scorso a Roma, presso Palazzo Velli, piazza S.Egidio 10, si è svolto un importante evento voluto ed organizzato da prof. Avv. Giuseppe Catapano, rettore dell’Accademia Degli Studi Giuridici Europei, insieme al tesoriere prof. Cesare Cilvini ed in collaborazione con Dott. Filippo Bongiovanni. L’evento, dal tema: ‘’ Le ragioni per far politica, ha visto partecipare numerosi personaggi politici e non politici. Abbiamo intervistato l’Avv. Andrea Gagliardi, presente all’evento.

Avv. Lei presente al convegno A.U.G.E., del 20 gennaio scorso dal Tema: Le ragioni per far politica? Cosa ne pensa dell’importante evento svolto?

Il titolo di questo convegno è di per sé evocativo: le ragioni per far politica. Per ragioni dovrebbe intendersi la scintilla, l’impulso ad un impegno di tipo politico e non il fine dell’impegno.

La ragione per cui ha deciso di candidarsi?

Personalmente, le ragioni che mi hanno spinto a candidarmi o, comunque, ad impegnarmi politicamente, è solo ed esclusivamente lo spirito di servizio che avverto verso la comunità di cui faccio parte.

Non credo che vi possano essere ulteriori ragioni senza che queste assumano una connotazione di

natura edonistica, le quali alludono e preludono ad una ricerca di consenso non animato da fattori che sottintendano il bene comune.

Cos’è la politica oggi, secondo Lei?

La politica oggi elabora una realtà che potremmo definire ontica, in cui si immaginano le “rivoluzioni”, per dirla con Tancredi, il personaggio de il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, affinché “se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”. Al contrario, per mutare la realtà, è necessario che la realtà assuma una connotazione eutopica e non utopica, altrimenti si ricadrebbe nell’immobilismo gattopardesco senza che lo spirito del popolo, nel suo sincretismo, assuma una sua concretezza.

Parlando dei cambiamenti sociali?

È chiaro che i cambiamenti sociali necessitino dell’impiego di risorse finanziarie adeguate ai mutamenti necessari e dato che dette risorse sono sempre più esigue, è indispensabile che queste vengano impiegate in modo efficiente: compito specifico della politica perché le destina, o almeno dovrebbe, secondo i propri programmi di politica fiscale.

Ed è proprio la politica fiscale, che altro non è se non quell’insieme di decisioni che determinano l’entità delle entrate e la composizione della spesa, che da compiutezza al rito democratico del voto: no taxation without representation.

Quindi? Cosa occorre?

Allora occorre chiedersi: i programmi con cui i partiti politici vincono le elezioni sono aderenti alla realtà?In un’ottica disincantata, chi si occupa di politica, specie oggi che sembra sia diventata quasi una professione da esercitare pur non avendo mai ottenuto una abilitazione che stabilisca se si abbiano le competenze per servire le istituzioni, e mi permetto di dubitare che la mera investitura popolare possa conferire competenze dato che la cronaca ha in più occasioni fornito evidenze di voto non libero, che non vuol dire solo condizionato da forze occulte ma anche da spinte populiste sconsiderate, la politica dovrebbe analizzare la realtà in funzione dei cambiamenti possibili ed attuarli attraverso i mezzi tipici delle istituzioni democratiche.

E qui sorgono le famose illusioni finanziarie, la felice endiadi coniata da Amilcare Puviani, in base alle quali i governanti, attraverso l’attività finanziaria pubblica, destinano una notevole parte delle risorse finanziarie dello Stato a vantaggio della classe dominante che, rispetto all’ottica ottocentesca del Puviani, oggi è quella che esercita il maggior potere solo perché sostenuta da gruppi di pressione, rappresentati da maggioranze eterogenee, a insaputa delle classi popolari, gli esclusi, cioè chi non fa parte di conventicole, i quali vengono illusi con artifici ed inganni, anche mediante l’induzione a bisogni artificiali, in modo da provocare nei cittadini erronee valutazioni delle finalità delle scelte politiche che avranno l’unico fine di consentire alla élite dominante di mantenere il potere.

Secondo il Puviani, l’illusione è possibile, anzitutto, quando non esiste un’adeguata trasparenza nel bilancio dello Stato o in materia finanziaria. Spesso, infatti, i bilanci sono lunghi, complessi e risulta particolarmente difficile individuare il vero ammontare delle entrate e delle spese pubbliche. In queste tecnicalità si annidano le illusioni, peraltro enfatizzate da una distorta informazione sulle finalità generali di una spesa o di una entrata, facendo leva su fattori psicologici che stimolano nella collettività sentimenti di apprezzamento per operazioni che nella sostanza potrebbero non perseguire finalità generali.Il susseguirsi di maggioranze caratterizzate da bisogni differenti, a cui si risponde con soluzioni di Propaganda, che generano illusioni discordanti, importa che nell’alternanza tra le prime e le seconde, proprio perché i prefati programmi servono a soddisfare principalmente gli appetiti della maggioranza in voga, in opposizione ad una concezione Aristotelica, che vede il benessere come qualcosa di intrinsecamente politico e sociale, è sempre il benessere individuale a prevalere su quello generale.

Le illusioni in assenza di indicatori di benessere generale?

Invero, le illusioni, in assenza di indicatori di benessere nazionale, vengono alimentate da asimmetrie informative tra classi di potere che alterando lo strumento informativo come strumento di valutazione delle politiche pubbliche, lo riducono ad una mera informazione-comunicazione che non distingue più se una politica ha, o meno, finalità collettive.

Secondo Riccardo Ruggeri, ex CEO di un importante gruppo italiano, oggi editore apòta,

l’informazione-comunicazione tende ad essere modellata secondo un profilo del “né vero, né falso” al fine di rendere le informazioni inaffidabili: si diffondono come fossero vere, ed alcune lo sono, altre non lo sono e non sono propriamente false, perché per un certo tempo sono state (quasi) vere.

In altre parole, per alimentare le illusioni, è sufficiente che le informazioni siano credibili perché, come diceva Jean Baudrillard, a differenza della “verità”, la “credibilità” non si confuta perché è virtuale.

A tutto questo si aggiunge?

A questo si aggiunga la sfiducia degli eletti nei confronti delle figure apicali delle strutture burocratiche delle istituzioni le quali, proprio perché di tutti, dovrebbero essere l’ago della bilancia tra programmi illusori proposti dalla politica per creare consenso e i bisogni della collettività. E qui che sorgono le divergenze tra politica e burocrazia: il politico non si fida del burocrate perché pensa che nella complessità della macchina amministrativa si nasconda una resistenza al perseguimento dei fini politici e, pertanto, quest’ultimo dovrà essere scelto secondo una logica di appartenenza piuttosto che per meriti acquisiti sul campo. Al contrario, il potere amministrativo dovrebbe fungere da argine alle tante inefficienze proposte dalla politica.

Il problema, in altri termini, è quello della giusta allocazione delle risorse: al di là dei programmi, occorre che la Stato, nel suo complesso, riprenda ad erogare servizi ai cittadini in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale perché la spesa pubblica deve generare benessere per tutti, indistintamente.

Si parla molto nell’ultimo periodo dell’intelligenza artificiale

In quest’ultimo periodo, si è parlato molto dell’intelligenza artificiale in campi in cui l’umanesimo sembrerebbe insostituibile: pensiamo al settore giustizia nel quale, in alcuni ordinamenti, si sono introdotti sistemi predittivi che stanno evolvendo verso sistemi decisionali con l’utilizzo di software che sembrerebbero essere in grado di comporre una controversia in via totalmente automatica.

Occorre chiedersi se in un settore così delicato possa davvero realizzarsi una ipotesi di sostituzione dell’uomo con la macchina e ciò solo perché, con la crisi del formalismo giuridico, si vogliano depurare le decisioni giudiziali da componenti soggettive ed irrazionali.

Se così è, si potrebbe ipotizzare, come qualche sondaggio avrebbe già evidenziato, che anche i

processi decisionali della politica possano essere affidati ad un algoritmo che analizzi in tempo

reale, per esempio, gli effetti di impatto di una spesa illusoria e, in un’ottica di pensiero “cosciente”, riesca a decidere se debba essere effettuata o meno mediante l’analisi dello spirito del popolo espresso dalla congerie di opinioni presenti in reti di social network, di cui ne viene estrapolato il contenuto maggioritario per farlo assurgere a volontà popolare.

Il suo parere personale?

Personalmente, mi fa orrore pensare che sistemi di ausilio nell’analisi di dati possano sostituirsi alla sensibilità che solo una mente umana può sviluppare, cogliendo sfumature di fatti e situazioni che un gelido calcolatore bollerebbe come un semplice dato e non come gradazione di un elemento sociale.

Ed allora, è necessario far rivivere alla Politica l’auge di un nuovo umanesimo nella quale, come ho già avuto modo di affermare, la ragione del proprio impegno debba voler anzitutto intendersi come etica sociale, intesa come percorso di educazione che funga da diga morale ai personalismi e slancio per la realizzazione dei diritti degli individui di una data comunità.

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