24 Aprile 2024, mercoledì
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LUIGI DI MAIO IL “PARTITO CHE NON C’È”

A cura di Giuseppe Catapano

 In Politica – ho usato la maiuscola non casualmente – lo stile è sostanza.  Vale il vecchio detto che è l’abito a fare il monaco. In questo caso parlo delle modalità con cui si propone la maturazione politica. Farlo senza dirlo, cercando di costringerla all’interno di un’apparente continuità, toglie valore e credibilità a quell’evoluzione, la rende estemporanea e priva di spessore. Essa, al contrario, deve essere frutto – oltre che di un processo interiore – di un dibattito aperto, dentro il proprio partito e con le altre forze politiche, in sede culturale, nei media. Certo, così il percorso è più faticoso e impegnativo, espone alla ferocia della lotta politica e costringe al combattimento. Mentre capisco che il metodo “sottotraccia” sia più facile e meno rischioso. Ma c’è una grande differenza, abissale oserei dire. Ecco, ora applichiamo al caso specifico questa teoria. Di Maio  ha scelto di cambiare nei fatti, attraverso i comportamenti. Sì, ha fatto qualche pubblica ammenda, ha scritto un libro autobiografico – piacevole, ma nel solco del “continuismo” – ha fatto intendere più che affermare. Ma tutto questo è stato privo di autocritica, di quel sanguinoso tormento intellettuale che avrebbe dato più forza e maggiore credibilità al suo percorso da una “politica di contestazione” ad una “politica di governo”. Due approcci politici diametralmente opposti, troppo distanti l’uno dall’altro per essere tenuti insieme dal filo della continuità.

E qui veniamo al merito. I 5stelle non solo hanno fatto scelte sbagliate, come il reddito di cittadinanza, o esagerato tenendo troppo alti i decibel populisti, come da ultimo con gli ambigui giudizi sulla guerra di Putin, sull’invio delle armi all’Ucraina – arrivando a teorizzare la ridicola distinzione tra armi offensive e armi difensive – e la penosa polemica sull’incremento delle spese militari. No, la cosa più grave è che hanno iniettato nel corpo della società italiana molto veleno: promuovendo l’incompetenza e la cultura dell’uno vale uno, e facendo credere che dietro la competenza si nascondano sempre e comunque interessi occulti e malvagi; condannando la complessità a favore del semplicismo; contribuendo a diffondere diffidenza e ostilità verso le istituzioni e la cosa pubblica; svilendo il Parlamento, portandovi una ciurma di “semplici cittadini”, e il Governo, promuovendo a presidente del Consiglio un “signor nessuno” (peraltro rimasto tale), come se impreparazione e incultura fossero un plusvalore; creando le condizioni perché pregiudizi, quando non veri e propri tabù, verso la scienza e la tecnologia prendessero piede in un Paese già vecchio e anti-moderno di suo; accrescendo la già più che diffusa tara giustizialista che ammorba l’Italia da un trentennio, facendo strame dello Stato di diritto. Volendo, la lista sarebbe ancora lunga, ma ci siamo capiti. Ora, su questo bisogna essere chiari e sgombrare il campo da ogni ambiguità. Non basta prendere le distanze dagli errori di oggi, come per esempio Lei, signor Ministro, ha meritoriamente fatto l’altro giorno definendo “intollerabile” ciò che Conte ha invece minimizzato, e cioè l’uscita del tesoriere 5S, tal Cominardi, su Draghi servo di Biden. Tantomeno se poi sono impercettibili distinguo o pur eloquenti silenzi. No, occorre fare i conti, e fino in fondo, con il passato, con le origini, se si vuole avere e costruire un futuro.

E qui Lei mi scuserà se vengo al suggerimento non richiesto . Caro Di Maio, lasci i 5stelle, prima che sia troppo tardi. E non mi riferisco al probabile – e, per quanto mi riguarda, augurabile – rovescio che attende il movimento in mano all’avvocato del popolo alle prossime elezioni, quelle amministrative di giugno e le politiche quando saranno. Sarebbe una fuga dalla nave che affonda. Mi riferisco, invece, ad una operazione politica che coinvolga da un lato quei grillini che hanno davvero maturato un’esperienza e una cultura di governo – recuperando anche ex di qualità, come il sindaco di Parma Pizzarotti – e dall’altro le tante forze del cambiamento che faticano a trovare espressione o peso elettorale. Lo spazio c’è, anzi è enorme, e per il “partito che non c’è” un leader 35enne (uno dei) sarebbe tanta manna. L’occasione pure, perché l’assurdo capriccio contro il termovalorizzatore a Roma – prima e finora unica cosa che distinguerebbe l’amministrazione Gualtieri da quella Raggi in Campidoglio – e la crescente ostilità di Conte nei confronti di Draghi – così poco consistente sul piano politico, nonostante che qualche seria tiratina d’orecchio a questo esecutivo ci vorrebbe, e così marcatamente personale per astio e invidia nei confronti del successore – non sta solo mettendo in imbarazzo la delegazione pentastellata di governo, accentuando la frattura con il leader e il suo cerchio magico, ma sta attestando il movimento su posizioni, appunto, intollerabili. Che rischiano di incrinare irrimediabilmente l’asse con il Pd – anzi, persino il fin troppo mite Enrico Letta non ne può più, e la sua (benedetta, per me) conversione al proporzionale, inteso come strumento per liberarsi dell’alleanza scomoda, la dice lunga sul suo stato d’animo – fin qui l’unico ancoraggio per evitare la totale deriva populista.

D’altra parte, come ho ripetutamente scritto qui dal 24 febbraio in poi, piaccia o non piaccia la politica italiana è destinata ad introiettare dentro di sé una nuova “conventio ad excludendum” come effetto di una guerra che non è solo un atto di imperialismo, ma il tentativo di ridisegnare la mappa geopolitica ma anche la carta geografica dell’Europa. E non solo i 5stelle in mano a Conte, ma anche il movimento grillino storicamente inteso – fondato da uno che ha mostrato in passato, e tuttora di avere, una irresistibile e probabilmente non disinteressata attrazione per Putin – si ritroveranno al di là della linea di demarcazione che separerà gli euro-atlantisti da chi a vario titolo avrà avuto feeling con il nemico. E Lei, che ha avuto e sta avendo la ventura di fare il ministro degli Esteri in una circostanza così grave e dividente, non potrà che stare dalla parte di qua.

Ecco perché, sommessamente  ma accoratamente, perché ne vedo tutte le valenze generali, al di là di quelle che la riguardano personalmente, le reitero l’appello: caro Di Maio, lasci l’acqua sporca e la tinozza sempre più piccola del movimento 5stelle e si butti nel mare aperto di una politica che, questa volta seriamente, dovrà profondamente cambiare. Creda a me, al di là delle apparenze, ci vuole più coraggio a rimanere, che ad andare.

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