26 Aprile 2024, venerdì
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Offese generiche sui social: è reato?

L’art. 21 della Costituzione italiana sancisce la libertà di manifestazione del pensiero, che comprende anche il legittimo diritto di critica; ma quest’ampia libertà non può travalicare il limite delle offese gratuite e indiscriminate, che sono illecite. 

Perciò, esiste il reato di diffamazione, previsto dall’art. 595 del Codice penale a carico di chi «comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione». La reputazione è l’aspetto esterno dell’onore, del decoro e della dignità di un soggetto, cioè il modo in cui queste caratteristiche vengono percepite dagli altri.

La diffamazione è aggravata quando avviene a mezzo stampa o «con qualsiasi altro mezzo di pubblicità», dunque anche attraverso i social network, come Facebook o Instagram,e con ogni altro tipo di pubblicazione sulla rete Internet.

Diffamazione sui social: basta un’offesa generica?

Chi offende attraverso i social – ad esempio, insultando la Polizia su Facebook – commette il reato di diffamazione aggravata dal mezzo della pubblicità. La legge contempla un’ulteriore aggravante della diffamazione, che si realizza quando l’offesa viene arrecata «a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio». Va evidenziato che un’offesa pubblicamente rivolta ad un’intera categoria può comportare una condanna per il reato di vilipendio (art. 290 Cod. pen.) quando la denigrazione riguarda:

  • la Repubblica nel suo complesso, come forma di Stato;
  • il Governo come organo collegiale (presidente del Consiglio e ministri);
  • la Corte Costituzionale o l’ordine giudiziario, quindi la magistratura;
  • le forze armate nel loro insieme o con riferimento ai singoli corpi (Carabinieri, Polizia, Guardia di Finanza, ecc.).
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