6 Giugno 2023, martedì
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“Scappano in troppi da Kabul”. Chi sono le attiviste che restano

C’è chi non se ne va.  Chi non cerca un volo nelle ore in cui l’aeroporto di Kabul bolle dell’impazienza e della disperazione di chi vuole salire su un aereo verso un ovunque.

Le donne del Rawa, le più dure, quelle del movimento femminista attivo dal 1977, hanno scritto in un comunicato del 19 agosto, il giorno dell’anniversario dell’indipendenza dagli inglesi.  “Noi crediamo che solo un governo democratico e laico possa garantire al popolo afgano la sicurezza, l’indipendenza, l’uguaglianza di genere e la fine delle discriminazioni razziali. Questo è il nostro obiettivo. Per raggiungerlo, l’unico modo è educare il nostro popolo alla libertà, quella vera. Di espressione, di pensiero, di auto-determinazione. Oggi, ovviamente, torniamo ad agire dietro le quinte. Lo facevamo già nei campi di rifugiati in Pakistan, non è una cosa nuova per noi. Oggi, cerchiamo di dare una mano agli sfollati che arrivano a Kabul, è una situazione di emergenza. Continuiamo e continueremo a insegnare a leggere e a scrivere a bambini e bambine, alle loro mamme. Aiutiamo a creare una coscienza politica afgana, aiutiamo le donne a sentirsi libere di pensare e dire quello in cui credono”. Ragionano al presente, come se la loro opera fosse solo più nascosta e pericolosa ma ancora fervida.

I fronti su cui muoversi adesso sono due c’è quello umanitario che impone di mettere in sicurezza e aiutare chi fugge ma anche quello politico e democratico che riguarda chi resta per difendere i diritti umani gravemente a rischio e si fa carico degli sfollati interni perché non tutti riusciranno a partire. La Banca Centrale Afghana è bloccata, il Fondo Monetario Internazionale ha sospeso i prestiti. Bisogna sbloccare il denaro per sostenere chi non se ne va, dargli appoggio politico da fuori, fare rete con queste realtà, inviare delegazioni internazionali di monitoraggio.

Chi ha scelto di restare si trova in una doppia morsa: da un lato i talebani, dall’altro i ‘signori della guerra’, persone che hanno continuato a governare il Paese anche negli anni delle missioni, autori di crimini contro l’umanità.

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