19 Marzo 2024, martedì
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VACCINI E GIUSTIZIA

A cura di Giuseppe Catapano

È tutto uno sventolio di bandiere. No, non sono quelle della Nazionale di calcio e non ancora quelle delle squadre di club, che per il campionato c’è da attendere un mese. Sono le bandierine che i partiti ogni giorno piantano per confermare, prima di tutto a se stessi e poi agli elettori, la loro esistenza in vita e di conseguenza coltivare la speranza di conquistare il ben miserevole vantaggio di avere lustro dai sondaggi. Così è stato, in questi giorni, per la giustizia e per il green pass, per citare solo i casi più eclatanti. Uno spettacolo deprimente: mentre il paese è al bivio tra il consolidamento di una ripresa economica che è impetuosa e più consistente delle previsioni ma ancora maledettamente fragile, e il rischio che la variante Delta del Covid ci costringa a subire la quarta ondata della pandemia, con tutto quello che di paralizzante porta con sé, cosa che richiederebbe senso di responsabilità e scelte coraggiose, ecco che invece le maggiori forze politiche del Paese si perdono in giochi e giochetti nel disperato tentativo di (ri)trovare un qualche tratto distintivo. Senza capire che il largo consenso di cui gode Mario Draghi significa che gli italiani, a loro volta al bivio tra la fiducia nella svolta e il ritorno alla depressione, chiedono di essere confortati nella speranza che la concretezza e il pragmatismo prevalgano sulle chiacchiere e le etichettature ideologiche.

 Partiamo dalla riforma Cartabia. Si  tratta di un intervento parziale rispetto alle diverse questioni dolenti della nostra (mala)giustizia. Insomma, un punto di partenza. Che richiederà, attraverso i referendum – che ancora una volta invito tutti a sottoscrivere – ulteriori e vigorosi passaggi riformatori. Eppure, è bastata questa buona ma limitata riforma per scatenare le ire dei forcaioli. Solo che se a farlo è Travaglio e il suo giornale, da sempre il vero regista del partito giustizialista, siamo nella fisiologia. Ma se ad agitare le acque è l’avvocato Conte – che, fino a prova contraria, è ancora un privato cittadino senza alcun ruolo politico formale – e se il motivo per cui lo fa è quello di farsi spazio sulla scena e soddisfare i suoi privatissimi desideri di vendetta verso chi a suo giudizio gli avrebbe immeritatamente (sic) rubato il posto a palazzo Chigi, con ciò inducendo il maggiore gruppo parlamentare di Camera e Senato a mettersi di traverso alla riforma Cartabia fino al punto di mettere in discussione la tenuta del governo Draghi, tanto da costringere il presidente del Consiglio a chiedere il voto di fiducia, beh allora siamo nel pieno della patologia.

È pazzesco, se ci pensate, ma il Paese è nelle mani di una forza politico-parlamentare completamente acefala nonostante il vertice trino: Grillo è il leader storico ma non ha un ruolo politico vero e proprio, cosa che ambisce ad avere Conte senza però che ciò sia sancito da  alcun rito iniziatico, mentre Di Maio lucra con un silenzio prolungato il vantaggio che gli deriva dallo scornarsi dei primi due. Possiamo permetterci di mettere a rischio un governo che, pur con diversi limiti e pure qualche difetto, ci sta faticosamente traghettando fuori dalla più spaventosa crisi socio-economica e politico-istituzionale della storia repubblicana e ci sta rimettendo al centro della scena europea e mondiale da cui eravamo stati emarginati? E tutto questo perché i 5stelle non hanno leadership e chi la vuole avere, anzi la pretende senza avere la minima idea di come la si conquista, lo fa solo per soddisfare le sue (smisurate) ambizioni personali, per appagare le sue (miserevoli) voglie di ripicca e per fronteggiare la sua (tossica) crisi di astinenza dal potere iniziata con il comizietto davanti a palazzo Chigi di quel mesto (per lui) 4 febbraio (nemmeno sei mesi, e sembra passato un secolo!).

Per fortuna, in tutto questo c’è del dilettantismo che potrebbe portare ad un’auspicabile scissione dei 5stelle. Infatti, l’essersi infilati in una battaglia contro il testo della Cartabia sta mettendo Conte nella scomoda posizione di dover decidere se opporsi fino in fondo alla riforma, il che dopo le prese di posizione di Draghi e di Enrico Letta (finalmente!) significherebbe dover uscire dal governo, oppure se far buon viso a cattivo gioco e perdere la faccia dopo tanto schiamazzare. Nel primo caso a rompere sarebbero i “governisti”, oltre il 40% dei parlamentari che fanno capo a Di Maio, nel secondo i giustizialisti doc che considerano la riforma della prescrizione la loro trincea identitaria. E per rendere ancora più paradossale la situazione, il populista Grillo si ritroverebbe con i moderati che vogliono restare nella maggioranza, mentre il “democristiano” Conte con affidavit vaticani sarebbe costretto a capeggiare la pattuglia dei duri e puri alla Di Battista.

Stesse illogicità ma con protagonisti diversi si ritrovano sul fronte dell’altra pantomima che tiene banco nel teatrino della politica italica, quella inscenata da destra sulla presunta obbligatorietà delle vaccinazioni anti-Covid. Carlo Nordio ha scritto parole definitive sulla vicenda: il green pass non rappresenta un obbligo, e quindi una limitazione della libertà, ma una condizione, un requisito senza il quale ti vengono precluse determinate cose ma che nulla e nessuno ti può obbligare ad avere. Non ti vuoi vaccinare? Bene, nessuna costrizione. Ma se fai il medico o l’infermiere, il professore o l’autista di mezzi pubblici, insomma se per mestiere sei a contatto con il pubblico, la mancanza della vaccinazione ti impedisce di esercitare quella professione. Così come ti impedisce di salire su un bus o entrare nella metropolitana, di andare al cinema, a teatro o in uno stadio. Sei libero di scegliere, ma non puoi lamentarti delle conseguenze del tuo libero arbitrio. Sapendo che la tua libertà (di non vaccinarti) finisce laddove inizia la mia (di non essere contagiato e contrarre malattia). “Sub lege libertas”, non c’è libertà senza il controllo della legge, è il principio alla base della nostra Costituzione e dunque dello Stato di diritto. Concetti elementari, che dovrebbero essere l’abc di chiunque faccia politica, anche solo in un consiglio di circoscrizione, a maggior ragione di chi capeggia i partiti più rilevanti. Eppure, al loro cospetto tanto Salvini quanto la Meloni, campioni di ambiguità, sono riusciti a inciampare.

Con questi presupposti mi domando come i due leader delle forze che rivendicano la primazia nel Paese, si immaginino di costruire, in Italia e fuori, la loro credibilità di personalità di governo. Lo fanno per avere più voti, coscienti che il loro atteggiamento è puramente strumentale? Per carità, è pur vero che negli Stati Uniti si comincia a parlare di un partito dei “vaccino-resistenti”, e che anche da noi il numero dei no-vax non è irrilevante. Ma si tratta pur sempre di una minoranza. E come si può candidarsi a guidare un paese se su un tema così cruciale, oserei dire dirimente, ci si schiera con una minoranza che è in aperto contrasto di interessi con la stragrande maggioranza? Lo so, i due mi direbbero che non è vero che si sono schierati con i renitenti al vaccino. Va bene. Allora giriamo la domanda: come si fa candidarsi a guidare un paese giocando sull’ambiguità – come quella mostrata di fronte a due semplici domande come “perché non vi siete ancora vaccinati?” e “avete intenzione di farlo e quando?” – e non avendo chiarezza di idee?

Francamente, in questo capisco di più la Meloni, che ha scelto di stare all’opposizione e recita quel ruolo fino in fondo. Poi, certo, dovrà spiegare agli italiani che per i quattro quinti hanno benedetto l’arrivo di Draghi, hanno apprezzato la campagna vaccinale affidata ai militari e contano sulla ripresa economica che ha saputo creare, perché dovrebbero mandare lei e il suo partito a guidarli essendo stati contro tutto questo. Ma questo, per fortuna, non è un problema di oggi, né di domani. Diverso è il caso di Salvini, che del governo Draghi fa parte e per certi versi si è fatto più paladino di altri da cui era più logico aspettarselo (il Pd). Questi continui stop and go un po’ su tutto, dall’Europa al green pass, non gli fanno bene alla salute, perché se si vogliono contemporaneamente i voti europeisti e sovranisti, o quelli si-vax e no-vax, alla fine si finisce per perdere entrambi. Ma questi, si dirà, sono fatti suoi. Peccato che diventino anche nostri nella misura in cui il quadro politico italiano, racchiuso in uno schema bipolare forzato “Pd-5stelle” e “Fd’I-Lega-Forza Italia”, ha bisogno di ben altri copioni per funzionare. La premessa è che Letta deve smettere di inseguire Conte e Salvini la Meloni.

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