29 Marzo 2024, venerdì
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NUOVO BOOM ECONOMICO IL RISCHIO È LA POLITICA

A cura di Giuseppe Catapano

L’Occidente appare oggi alla vigilia di una duratura stagione di crescita. Pur non mancando problemi e contraddizioni ,che poggiano ovviamente sull’uscita dalla pandemia su scala planetaria e sull’effetto rimbalzo rispetto alla recessione dello scorso anno, ma che non si fermano lì. L’immissione nel circuito economico internazionale di una quantità di denaro senza precedenti, la diffusa necessità di dotarsi di più efficaci sistemi sanitari e di protezione sociale, la condivisa ambizione avviarsi verso un modello di sviluppo che sappia coniugare la crescita con la sostenibilità ambientale e sociale, la moltiplicazione delle straordinarie potenzialità delle nuove tecnologie: è il combinato disposto tra tutto questo e altro ancora che ci fa pensare di poter assistere all’alba di un vero e proprio superboom mondiale. Questa volta, molto più sotto l’ombrello americano che non dei paesi asiatici emergenti . Con la certezza che l’Europa, oggi è capace di sforzi integrativi fino a ieri impensabili .

Lo testimoniano due fatti apparentemente contradditori, ma in realtà convergenti. Il primo è la difesa che la Commissione Ue ha deciso di fare dell’autonomia della Bce, aprendo una procedura di infrazione contro la Germania per una recente sentenza della Corte Costituzionale tedesca che, riguardo agli acquisti di titoli effettuati dalla banca centrale sui mercati dei bond pubblici (in particolare Btp italiani), ha messo in dubbio la preminenza del diritto comunitario rispetto a quello nazionale. Cosa che avviene proprio quando nella stessa Bce comincia a farsi strada il momento in cui la politica monetaria dovrà iniziare una seppur graduale inversione di marcia, inducendo i paesi a camminare sulle proprie gambe. Scelta sana, capace di rendere più solida e stabile la ripresa che sta per innescarsi, che altrimenti rischia di rivelarsi semplicemente reattiva rispetto alla caduta del pil del 2020. 

Certo, la ripartenza del 1946 fu sostenuta da una psicologia collettiva nutrita dal desiderio di conquista di libertà e benessere che la grandissima parte degli italiani di allora aveva, mentre oggi la società più che altro coltiva la voglia di tornare a stare come si stava prima del virus, ed è altrettanto assennato quando ci segnala che alla ricorrente e tambureggiante evocazione delle “epopee” del dopoguerra per ora non fa riscontro un così diffuso sentimento di mobilitazione collettiva. Tuttavia, questo non toglie che, specie nel mondo imprenditoriale, il fermento verso la ripresa sia vivace e la voglia di non perdere l’occasione cominci a fare capolino nella mente di molti. Sarà l’idea che “bruciare” un uomo “irripetibile” come Draghi significherebbe far cadere anche l’ultimo ponte che ci collega con l’Europa e il mondo, sarà che questa volta la crisi morde davvero e non sta solo nelle retoriche ricostruzioni sulla povertà a cui nel passato abbiamo creduto, sta di fatto che l’idea che il futuro green e digitale sia a portata di mano. 


E non è solo una predisposizione italiana, quella di cui sto parlando. Prendete il risultato delle elezioni tedesche in Sassonia,  testimonia che in questa fase “rinascente” il popolo preferisce chi sa governare rispetto a chi sa protestare. Inoltre, il riavvicinamento di Europa e Stati Uniti – sancito dal viaggio di Biden nel Vecchio Continente per rilanciare l’allenza atlantica e le democrazie liberali, e contenere Russia e Cina attraverso un rinnovato multilateralismo – mette in grave difficoltà Budapest, ormai entrata nell’orbita di Pechino. 


Insomma, superboom e populismo sovranista non vanno per nulla d’accordo, e per fortuna sembra prevalere il primo. Ecco perché è deprimente e preoccupante quanto ci è dato di assistere dalle parti della politica italiana. Diamo una rapida occhiata. I presunti nuovi assetti di Lega e Forza Italia – nati a tavolino senza alcun confronto, né di vertice né tantomeno di base, su idee e programmi, ma per il solo scopo di fermare l’ascesa di Giorgia Meloni sembrano essersi dissolti come neve al sole: ammesso (e non concesso) che avessero un senso, sono caduti sotto i colpi di beghe da cortile, e dunque senza produrre nulla di avanzato. La faticosa ricerca di candidati sindaci per le prossime elezioni comunali, si avvia a produrre scelte di terz’ordine, tanto destra come a sinistra. E questo nonostante la realtà sbatta violentemente sulle loro facce, come dimostrano le disperanti vicende romane da terzo mondo (dagli allagamenti devastanti ai rifiuti che sommergono la città, dai cinghiali che pascolano ovunque agli autobus che quotidianamente prendono fuoco).

La “conquista” (si fa per dire) della leadership del movimento 5stelle da parte dell’avvocato Conte –con il  desiderio di mettere i bastoni tra le ruote di Draghi – descrive la scelta della sinistra di affidare per l’ennesima volta ad un democristiano il compito di rappresentarla come il segno della resa alla propria sudditanza politica e culturale. Tanto che appena è apparsa sui giornali l’idea della fusione Lega-Forza Italia, è subito partito il riflesso condizionato del “facciamola anche noi”, ipotesi che ora immagino sarà abbandonata vista la caducità di quella da copiare. 


Ecco, si avverte il fermento degli animal spirit che vogliono cogliere l’occasione, mentre si cerca di capire cosa potrà significare per l’export made in Italy la fortissima crescita attesa negli Stati Uniti grazie ai massicci programmi di spesa pubblica di Biden, mentre si dovrebbero realizzare – grazie al “vincolo esterno” rappresentato dalle regole del Recovery – le tanto evocate ma mai praticate riforme strutturali, liberando il paese dalla cappa rappresentata dalla burocrazia ostacolante e deresponsabilizzante e dalla (cattiva) giustizia opprimente e paralizzante, insomma mentre il paese, pur tra mille incertezze e scetticismi, cerca di voltar pagina, le pagine che stanno scrivendo i partiti rischiano di diventare un pericolosissimo deterrente. L’unica speranza è che gli italiani se ne accorgano…

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