19 Aprile 2024, venerdì
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La società degli algoritmi

di Ronald Abbamonte

Scommetto che non siamo stati in pochi ad odiare la matematica durante la nostra carriera scolastica. Quelle formule fatte di lettere e di numeri sono rimaste  un mistero irrisolto e profondo in tutte quelle ore in cui eravamo  obbligati  ad occuparcene. . Non nascondo che spesso e volentieri, come penso sia capitato a tutti quelli che non hanno un buon rapporto con i numeri, mi sono fermato a chiedermi a cosa servisse quella immane tortura. Più aumentava la mia insofferenza e più alimentavo il dubbio sulla reale utilità pratica di numeri, formule, teoremi, equazioni e assiomi.

Ho pensato a tutto questo e in particolare a quella domanda che nervosamente, a suo tempo mi rivolgevo in preda alla più totale disperazione scolastica, quando ho iniziato a sentire sempre più spesso nella vita quotidiana la parola algoritmo. Forse è stato proprio in quel momento, quando nemmeno più cercavo una risposta che finalmente l’ho trovata. La matematica finalmente non solo  serviva a qualcosa ma il fatto che l’algoritmo venisse tirato in ballo  per cose importanti, mi forniva la prova che potesse anche assumere una certa rilevanza .

Ma cosa è un algoritmo?

Iniziamo partendo con il dire che il concetto di algoritmo è antichissimo. Il nome infatti prende la sua origine dal matematico persiano  Muhammad  ibn Musa chiamato anche al-Khuwarizmi , nome mutuato dalla regione dell’Asia centrale dove viveva nel corso del nono secolo che sembra il primo ad aver utilizzato un procedimento di calcolo in qualche modo paragonabile ad una sorta di algoritmo primordiale.

Sostanzialmente l’algoritmo può essere definito come una sequenza di istruzioni che, seguite nel giusto ordine, partendo da precisi input consente di ottenere un determinato risultato. Quindi una sorta di ricetta dove un’insieme di ingredienti prestabiliti finisce per dar vita ad un piatto come risultato.

L’incontro in tempi più recenti con l’informatica ha fatto, poi, dell’algoritmo uno strumento basilare nelle moderne dinamiche della società contemporanea . Un mondo basato una su quantità pressoché illimitata di dati ha affidato proprio all’algoritmo la capacità di arrivare a un risultato di sintesi delle migliaia e migliaia d’informazioni rilevanti che si utilizzano e si rinvengono nella quotidianità. Algoritmi sempre più complessi, hanno cosi condotto anche alla possibilità di arrivare a chiave di lettura nuove e più sottili dalla immensa mole dei dati forniti. Si parla, così,  di una sorta di capacità addirittura predittiva dell’algoritmo che non a caso può ergersi al ruolo del più moderno ed evoluto degli oracoli esistenti.

Le caratteristiche

La versatilità e le potenzialità di questo strumento hanno praticamente aperto tutte le porte agli algoritmi. Probabilmente nel mondo di oggi non esiste alcuna attività che non preveda alla sua base un algoritmo in grado di leggere migliaia di informazioni cogliendone, quasi in tempo reale, un risultato di sintesi da tutte esse. Non a caso se oggi appare tutt’altro che esagerato definire la nostra società come società degli algoritmi è proprio in ossequio al grandissimo spazio che trovano nella gestione di attività che vanno  dalle più semplici alle più complesse. Così si è fatto ricorso ad un algoritmo per definire le colorazioni delle regioni italiane in occasione di uno degli ultimi DPCM, così come si era tempo fa paventato l’utilizzo per assegnare il campionato di calcio scorso nel caso non fosse stato possibile proseguirlo. Ma aldilà di questi esempi se si vuole trovare un contesto quasi modellato sull’attività degli algoritmi basta pensare al web. Motori di ricerca, Social Network e un numero imprecisato di applicazioni varie, modulano il loro modo di agire proprio attraverso algoritmi complessi che leggendo tutti i dati, rappresentati dal nostro comportamento sul web, finiscono per ottenere un nostro profilo preciso a cui proporre contenuti altrettanto precisi ritenuti conformi. C’è chi dice che nessuno ci conosce di più di un algoritmo.

I pericoli di una società dominata dagli algoritmi.

Da più parti, da qualche anno a questa parte, si è lanciato un grido d’allarme sull’utilizzo degli algoritmi quasi  

Potessero, come entità autonome, rappresentare una minaccia alla superiorità umana. Niente di nuovo rispetto alle solite reazioni che si registrano difronte ad ogni moderna forma di intelligenza artificiale. Ma anche in questo caso, a mio avviso, si commette, ancora una volta,  l’errore di fondo di considerare,  che per quanto complesse tutte le forme d’intelligenza artificiale,  rimangono pur sempre ed esclusivamente uno strumento. Come ogni strumento in sé a fare la differenza sono solo le modalità con cui viene utilizzato. Non esistono algoritmi buoni o cattivi o simpatici o  dispotici, quasi fossero capaci di una vita propria, ma solo modalità buone o meno buone con cui si fa ricorso alle loro enormi potenzialità.

Se è pressoché impossibile battere un algoritmo sotto il profilo delle sue capacità di calcolo, tuttavia non si può al contempo dimenticare che tutto quanto è capace di fare dipende irrimediabilmente dalla bontà delle informazioni che gli vengono fornite. Sotto questo profilo è evidente che il primato umano sulla macchina è garantito potendo l’uomo costringere a dare i numeri qualsiasi forma più evoluta di algoritmo solo fornendo istruzioni sbagliate o omettendo altre indispensabili per arrivare a un risultato plausibile. Piuttosto sarebbe ora di preoccuparci delle modalità con cui ogni forma d’intelligenza artificiale viene utilizzata ponendo l’attenzione sulle  finalità più che sentirci minacciati da un semplice strumento che vive in tutto e per tutto nella discrezionalità umana.

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