20 Aprile 2024, sabato
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Migranti: si celebra la Giornata del Mediterraneo

’8 luglio è la Giornata mondiale del Mediterraneo, il cimitero di molti migranti. Ma dovrebbe essere anche la giornata mondiale del deserto, dove, in realtà, perde la vita la stragrande maggioranza di loro.  Se pensiamo che, secondo l’ Oim, da inizio anno a qualche giorno fa sono morte in mare 972 persone e  l’anno scorso, nel corrispondente semestre, erano state 2.172, per le vittime del Sahara le cifre –  ha stimato l’Onu – vanno almeno raddoppiate. Ma la ricorrenza non può limitarsi a snocciolare numeri. Il fenomeno migratorio non può essere ridotto a propaganda. Complesso, richiede analisi e risposte complesse. Di fatto è inarrestabile, una realtà in un mondo globale dove la mobilità è destinata a essere sempre più forte.Risultati immagini per migranti

Il giudizio negativo delle Chiese sul Vertice europeo
Alle preoccupazioni di Papa Bergoglio in questi giorni si sono aggiunge quelle della Commissione delle Chiese per i migranti in Europa (Ccme), il cui segretario generale Torsten Morits, a conclusione del Consiglio europeo che si è svolto il 28 giugno a Bruxelles, ha detto: “Ancora una volta il summit ha perso la possibilità di discutere su come l’arrivo e l’integrazione dei rifugiati possano essere un successo per tutti, discutendo invece di piani illusori per respingere le persone. Se l’Unione europea vuole sostenere la protezione dei rifugiati nelle regioni di origine o di transito – ha proseguito Moritz –, potrebbe sostenere i numerosi campi esistenti, ad esempio in Giordania o Uganda”.

E poi l’affondo: “L’Ue dovrebbe esaminare le cause per cui anch’essa contribuisce ai motivi per cui le persone fuggono: ingiustizia economica, mancata risposta ai cambiamenti climatici, esportazioni di armi e altre politiche”.

Ingressi legali e alternative all’emigrazione
Se l’Europa e i suoi governanti, infatti, sono concentrati soprattutto sugli sbarchi (tra gennaio e maggio 10.659, di cui il 21% dalla Tunisia, il 17% dall’Eritrea, il 7% dalla Nigeria, il 5% dalla Costa d’Avorio, il 3% dal Senegal, il 5% dal Sudan), altre realtà, laiche e religiose, missioni di volontari  e Ong, stanno portando avanti progetti di contrasto alla criminalità che fa della migrazione un business e che di fatto lascia a se stesso il continente africano e le sue immense risorse sprecate o depredate.

Da un lato organizzare ingressi legali, dall’altro costruire un’alternativa alla migrazione. Due realtà tutte italiane sono, da un lato, il progetto ecumenico dei “corridoi umanitari”, dall’altro la campagna Stop Tratta delle Missioni don Bosco che vede il coinvolgimento anche del Volontariato internazionale per lo Sviluppo.  I “corridoio umanitari”, realizzati da chiese evangeliche (Fcei), Tavola Valdese, Comunità di Sant’Egidio, hanno permesso, dal loro inizio nel febbraio 2016,  di portare in Italia dal Libano in sicurezza 1249 persone, di cui 447 minori. La stragrande maggioranza di loro ha ottenuto lo status di rifugiato e ad oggi 308 hanno raggiunto la piena autonomia. Progetti analoghi sono stati lanciati in Francia e in Belgio e un altro simile dall’Etiopia è promosso da diversi enti cattolici.

Un’indagine delle Missioni don Bosco
Più arduo è rimuovere le cause che inducono a un espatrio che mette in conto addirittura la morte.  Da un’indagine, promossa dalle stesse Missioni don Bosco e propedeutica all’attivazione della campagna Stop Tratta, emerge, infatti, che la maggioranza dei migranti è consapevole del rischio. In Senegal il 48% degli intervistati ha risposto che il pericolo dei viaggi illegali è di perdere la vita, il 25% di andare in carcere, il 10% di essere rimpatriati.

Ma la ricerca si è soffermata in particolare sulle motivazioni che spingono a lasciare la propria terra. “La loro aspirazione è migliorare le condizioni di vita – sintetizza Alessia Andena, responsabile del progetto e di ritorno dal Ghana –. Ma spesso sono attratti da un’immagine dell’Europa così come trasmessa da tv e Internet”. Ed è dai media, dai social, che parte la campagna Stop Tratta perché è attraverso la rete che si fa largo la propaganda dei trafficanti che offrono i viaggi della speranza.

Racconti di rientro e ricostruzione tra scuole e serre
Dal sito della campagna si diffondono le voci dei migranti di ritorno, delle madri che hanno perso i figli e che raccontano storie di un esodo disperato su cui sono in troppi a speculare. Yaaba ha 9 figlie, tre sono scappati per raggiungere la Libia e da lì prendere il largo. Yaaba è una delle testimonial. Dopo un’inutile resistenza, ha venduto tutto quello che aveva, prima la fattoria, poi la piantagione di cacao. Un sacrificio inutile: uno dei figli è morto durante la traversata nel deserto, un altro dopo il rientro e un terzo sì è gravemente ammalato.

“Chi rientra – dice Andena -,  i migranti di ritorno, sono guardati come dei falliti e i nostri progetti sono anche rivolti a loro perché riescano a reinserirsi”. La campagna è concentrata su Ghana, Senegal ed Etiopia. Oltre ad agire sulla comunicazione con trasmissioni radio, video, manifestazioni per le strade, incontri nelle scuole, rappresentazioni teatrali,  gli interventi comprendono la formazione professionale e l’attivazione di piccole imprese soprattutto agricole.

In Ghana uno degli obiettivi è la costruzione di due serre didattiche a Sunyani; in Senegal  è ampliare la scuola di avviamento al lavoro di Dakar che comprende corsi di ristorazione e pasticceria per 76 persone; di idraulica per 36; di taglio e cucito per 19; di informatica per 77; di alfabetizzazione funzionale per 70. La specificità per l’Etiopia è l’uso responsabile dei social. Ne hanno beneficiato fino 35 giovani preparati per preparare a loro volte a evitare truffe, inganni, fake news. La mala-informazione è un problema che accomuna l’Europa come l’Africa.(affarinternazionali.it)

a cura di Maria Parente

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