25 Aprile 2024, giovedì
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Migranti climatici: una realtà a cui non siamo preparati

143 milioni di migranti climatici entro il 2050. Questo il numero stimato dalla Banca Mondiale nel rapporto Groundswell, Preparing for Internal Climate Migration pubblicato lo scorso mese.Ma chi sono i migranti climatici? Il quadro normativo vigente consente di “accoglierli”? E molto più importante: come si inseriscono nel complesso quadro politico e sociale nazionale e internazionale

L’Italia, una società impreparata ad accettare i migranti
Partiamo dall’ultima domanda. E’ opinione di molti che i migranti siano state le vittime ultime della campagna elettorale italiana, durante la quale le parole più usate sono state invasione, criminalità, terrorismo, instabilità. Come mostra il rapporto annuale di Amnesty International, la realtà italiana è in perfetta linea con la tendenza, sempre più diffusa tra i leader del mondo, di prospettare scenari “da incubo” per ottenere risultati a breve termine, basati quindi sulle sensazioni molto più che sui dati.È quindi intanto necessaria una riflessione sull’uso improprio di parole e concetti, partendo da due premesse: la prima, che l’Italia non può e non deve chiudere le sue porte sul fronte Mediterraneo, poiché esso costituisce il prolungamento fisiologico ed economico del Paese; la seconda, che i migranti che arrivano sulle nostre sponde rappresentano una percentuale marginale rispetto quella dei migranti dei flussi intra-africani, sviluppati sull’asse Sud-Sud.Bisogna poi superare la visione, diffusa, del continente nero come mera fonte di materie prime, e arrivare a riconoscere il capitale umano costituito dalle persone che vi abitano. Innanzitutto chiedendosi quali sono le cause degli spostamenti, poiché chi lascia la propria casa lo fa nella maggior parte dei casi perché costretto, quasi mai per scelta.

Migranti climatici, un esempio per capire: il Lago Ciad
Nel solo 2016 risulterebbero 22,5 milioni di profughi ambientali, spinti ad andarsene dai propri Paesi d’origine per fenomeni legati al clima, quali inondazioni, uragani, siccità. Il Lago Ciad è un esempio significativo per il quadro che si sta qui delineando, con una riduzione della sua portata dell’80% negli ultimi 40 anni. Un dato interessante se si tiene conto che nove migranti su dieci che affrontano il disperato tentativo di attraversare il Mediterraneo provengono dalla fascia del Sahel, di cui il Lago Ciad rappresenta il cardine geografico.La difficoltà a riconoscere il nesso tra cambiamento climatico e migrazione si deve ai cosiddetti “slow-on-set events”, cioè gli eventi a “lenta insorgenza”. Si tratta di quei cambiamenti che testimoniano un progressivo, ma lento, peggioramento del clima, come lo scioglimento dei ghiacciai o la desertificazione del suolo: l’impatto di questi cambiamenti è appena percepibile nell’immediatezza, ma prelude a trasformazioni epocali negli ecosistemi naturali e sociali.Come messo in luce dall’avvocato e attivista Eugenio Alfano, l’incertezza provocata dai cambiamenti climatici ha inevitabili ricadute di natura conflittuale, contribuendo a creare le dinamiche tipiche del terrorismo e della guerra (non è un caso che i primi settori ad essere preoccupati per il clima siano quelli militari, a partire dal dipartimento di Difesa americano che ha definito il cambiamento climatico un “moltiplicatore di minacce”).La concatenazione di questi fenomeni con altri di natura sociale, culturale e religiosa è proprio ciò che rende difficile definire in maniera netta l’identità del “migrante climatico”, oggi più che mai intrappolato nel clima di paura alimentato dalla classe politica.(affarinternazionali.it)

a cura di Giuseppe Catapano

 

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