29 Marzo 2024, venerdì
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CAMPAGNA ELETTORALE: MESSAGGIO AL PROSSIMO GOVERNO

La politica estera è stata la grande assente della campagna elettorale italiana 2018. Con la sola eccezione di +Europa, la lista di Emma Bonino, tutte le altre forze politiche hanno espresso strategie di politica internazionali fondate su informazioni false, incoerenti, se non del tutto inesistenti.L’Europa, quando citata nei programmi e nelle piattaforme politiche, è emersa come un’entità austera e ingrata, responsabile di frenare la ripresa economica dell’Italia e di ignorare l’accoglienza dei migranti da parte del nostro Paese.Pressoché nulla, durante una campagna elettorale durata poco più di un mese, è stato detto sull’irrefrenabile ascesa della Cina, l’imprevedibilità dell’America di Donald Trump, la cinica assertività della Russia di Vladimir Putin, il pullulare di focolai di crisi in Asia e Medio Oriente e le sfide globali poste dai cambiamenti climatici, approvvigionamento energetico e politiche cyber.Eppure, la politica estera conta eccome. Essa influenza in misura sempre più crescente le nostre vite quotidiane, con i confini fra le questioni interne e internazionali che tendono a diventare sempre più sfocati. Che si tratti di immigrazione, energia, lavoro o contrasto al terrorismo, nessuna delle questioni che maggiormente riguardano il futuro nostro e dei nostri figli può essere efficacemente affrontata esclusivamente attraverso politiche interne. La politica estera è, per così dire, tornata a casa.

Il Mediterraneo è per molte ragioni una priorità ben più urgente che in passato. Le preoccupazioni dell’Italia rispetto ai flussi migratori, la sicurezza energetica della regione, l’imperativo dell’antiterrorismo e della lotta al crimine organizzato, al pari di un più ampio interesse di Roma a un pacifico, prospero e sicuro Mare Nostrum, dimostrano come il Mediterraneo abbia assunto un rilievo centrale nella geografia della politica estera italiana. Eppure il Mediterraneo non è una regione di per sé o a sé stante. L’Africa del nord e quella sub-sahariana sono tenute insieme dalla cintura a statualità limitata del Sahel, dove i flussi di migranti regolari e irregolari, di armi, beni e idee pericolose ricevono un’accelerazione. Allo stesso modo, le crescenti interconnessioni finanziarie e commerciali tra Golfo Persiano e Corno d’Africa segnalano l’assenza di rigidi confini a separare il Medio Oriente dall’Africa.In breve, occuparsi di Mediterraneo vuol dire avere un occhio anche per ciò che accade nel quadrante mediorientale e nel continente nero. Ma una visione d’insieme è altrettanto importante anche quando si prendono in esame le relazioni transatlantiche. Il partenariato Italia-Stati Uniti rimane di centrale importanza nonostante Donald Trump, incorniciato dall’alleanza in seno alla Nato, da una parte, e da relazioni bilaterali culturale, economiche e politiche tradizionalmente solide.Ci stiamo tuttavia muovendo in direzione di un mondo in cui gli Stati Uniti non avranno più un ruolo egemone, affiancati e da ultimo sostituiti dalla Cina – come descritto da Graham Allison nel suo “Destinati alla guerra: riusciranno Cina e Usa a evitare la trappola di Tucidide?” -. Promuovere le relazioni transatlantiche insieme alle intese con altri attori globali sarà centrale per la protezione e la promozione degli interessi e dei valori italiani nel mondo.

Italia più forte con l’Europa
Ciononostante, l’Italia – che nella migliore delle ipotesi è una potenza internazionale di media grandezza – è  semplicemente troppo piccola per potersi misurare efficacemente con un Mediterraneo complesso e un mondo multipolare e conflittuale. In tale mondo, soltanto le  vere potenze globali sono nella posizione di giocare le proprie carte e raggiungere i propri obiettivi. Ecco, è qui che il terzo e più importante pilastro della politica estera italiana entra in gioco: l’Unione europea. Un’Unione la cui logica è passata dall’originario consolidamento della pace continentale attraverso l’integrazione economica all’odierna proiezione sullo scenario globale, fondata sull’assunto che tutti gli Stati membri – fra cui anche i fondatori e i più grandi, com’è l’Italia – sono pigmei di fronte alle sfide del XXI secolo.È nello stesso interesse dell’Italia contribuire all’azione di un’Unione che, attraverso diversi modelli di integrazione, riesce oggi al tempo stesso ad approfondire gli elementi federali in aree cruciali come l’economia, l’immigrazione e la difesa, e ad allargare il proprio disegno ad altri Paesi, anzitutto quelli dei Balcani occidentali. Con l’asse franco-tedesco pronto a rilanciare il motore del progetto europeo, il contributo dell’Italia – tanto per via delle relazioni di Roma con Parigi e Berlino, quanto per il suo ruolo di ponte verso altri Stati membri – è essenziale per il futuro del nostro Paese in Europa, nel mondo e quindi, in ultima analisi, anche a livello interno.

Impegno politico e di spesa
Un tale impegno, però, a voler essere chiari e consequenziali, necessita di fondi per fare la differenza. Devolvere ben meno dell’1,5% del Pil a sviluppo, difesa e diplomazia insieme considerati, ad esempio, è miope se non proprio irresponsabile, per un Paese al cuore del continente euro-africano e così tragicamente esposto ai flussi migratori qual è l’Italia.Come suggerito dall’ex presidente della Repubblica tedesco Joachim Gauck con riferimento al suo Paese, un impegno che porti al 3% del Pil l’impegno finanziario globale rispetto a settori così fondamentali (e ulteriormente scandito in 2% alla difesa, in linea con gli obblighi Nato, 0,7% allo sviluppo, come da impegni Ue, e 0,3% alla diplomazia) potrebbe sembrare una forzatura nel (minimo) dibattito sulla politica estera italiana di questi giorni. Eppure, se non prende con coraggio queste scelte, l’Italia continuerà ad essere un osservatore della propria storia, in balia del tira-e-molla di forze esterne che sfuggono al suo controllo.

a cura di Maria Parente

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