19 Aprile 2024, venerdì
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Onu / Usa: con Trump una relazione complicata

Il 2017 ha visto l’emergere di un rapporto più conflittuale tra Nazioni Unite e Stati Uniti. Donald Trump, fin dalla campagna elettorale, non ha fatto mancare le critiche all’ Onu e nei mesi seguenti la vittoria elettorale le difficoltà e le incomprensioni sono aumentate. Nel suo primo discorso alle Nazioni Unite (19 settembre 2017), il presidente statunitense ha ribadito la sua visione di America First, così come di una comunità globale basata su Stati-nazione “forti e indipendenti”.

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Le tappe di un deterioramento dei rapporti
Circa un mese dopo, gli Stati Uniti si sono ritirati dall’Unesco (12 ottobre), offrendo come spiegazione la necessità di riforma dell’Agenzia e il suo atteggiamento anti-israeliano. Washington era ai ferri corti con l’Unesco dal 2011, ma il ritiro ha comunque mandato un segnale forte. Pochi giorni dopo, il vicepresidente Mike Pence, attaccando le Agenzie dell’ Onu per l’incapacità di proteggere le minoranze perseguitate in Medio Oriente, ha annunciato la volontà di ridurre i fondi destinati alle stesse e destinarli a faith-based group e organizzazioni private per tutelare tali minoranze più efficacemente.Successivamente, il 3 dicembre, gli Stati Uniti hanno annunciato il ritiro dal Global Compact for Migration – giustificandolo con la necessità di tutelare la propria sovranità su un tema così delicato  -.Il periodo di massima tensione, tuttavia, è iniziato il 6 dicembre, quando il presidente Trump ha riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele e ha ordinato di spostarvi l’ambasciata degli Usa da Tel Aviv. La decisione ha suscitato dure reazioni a livello globale e ha portato l’Assemblea generale a votare a larga maggioranza una risoluzione di condanna della stessa.

La visione strategica trumpiana
Se è indubbio che lo scontro su questioni come lo status di Gerusalemme non favorisce buoni rapporti tra Stati Uniti e Nazioni Unite, non bisogna perdere di vista le ragioni profonde del dissidio. La posizione dell’Amministrazione Trump verso l’ Onu non è motivata, infatti, da particolari situazioni contingenti ma da una visione strategica che rende difficile la cooperazione tra i due attori. Tale visione, racchiusa nel concetto di America First, è la pietra angolare per la concezione trumpiana di affari internazionali. La tematica è emersa con chiarezza già in campagna elettorale. Trump, allora candidato, annunciò presto la volontà non solo di mettere l’America al primo posto, ma anche di respingere il ‘globalismo’ e di riconoscere nello Stato-nazione l’unità portante degli affari internazionali. Ciò comporta lo scetticismo per le istituzioni internazionali – viste come distanti burocrazie incapaci di rispondere alle esigenze degli statunitensi – e gli accordi internazionali – talvolta ritenuti lesivi della capacità di controllare i propri affari. “Sostituire il globalismo con un rinnovato americanismo”: in sostanza, passare da una politica focalizzata su multilateralismo, istituzioni internazionali e limitazione della propria sovranità per fini comuni, a una più unilaterale, basata innanzitutto sulle necessità del proprio Stato e più guardinga verso il mondo.

Le radici profonde dell’approccio di Donald Trump
Sarebbe errato, però, considerare l’attuale posizione americana come una novità portata dal tycoon alla Casa Bianca. L’esempio più recente in tale senso è offerto dalla presidenza di George W. Bush – in particolare i primi quattro anni –, profondamente scettica verso le istituzioni e i trattati internazionali. “The “national interest” is replaced with “humanitarian interests” or the interests of “the international community.” […] the Clinton Administration has often been so anxious to find multilateral solutions to problems that it has signed agreements that are not in America’s interest”. La critica, fatta da Condoleezza Rice durante la campagna presidenziale del 2000, è molto simile a quella portata da Trump a Barack Obama.

Queste posizioni, però, affondano le loro radici nel profondo della storia statunitense e non sono solo un portato degli Anni Novanta. È la tradizione jacksoniana che anima la politica americana fin dalle origini della Repubblica a riemergere con vigore con Donald Trump. È quella parte di America che, tra le altre cose, è sempre stata dubbiosa verso il mondo, visto come una pericolosa arena capace di minare le fondamenta della ‘way of life’ statunitense. La visione trumpiana, però, non è catalogabile come isolazionismo: gli Stati Uniti sono pronti a rimanere impegnati nel mondo, ma solo in modo da non danneggiare seriamente quelli che ritengono essere i loro interessi nazionali.

Che cosa attendersi
È naturale che una simile posizione renda più difficile la collaborazione tra Washington e gli altri attori, soprattutto su questioni capaci di limitare la libertà di azione statunitense – e l’accordo sul clima di Parigi ne è un esempio lampante. Le tensioni all’ Onu, dunque, non sembrano destinate a diminuire.L’agenda di Trump, però, potrebbe trovare un inaspettato supporter proprio nel segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, le cui proposte di riforma sono spesso in linea con quelle del presidente statunitense. Se l’ Onu intraprenderà un percorso riformista gradito a Washington e abbandonerà – o ridurrà – alcune pratiche invise agli Stati Uniti – come l’eccessivo focus su Israele a discapito di altre tematiche pressanti ,  è possibile che la relazione tra le due parti possa evolvere in senso positivo. Nel mentre, tuttavia, le Nazioni Unite resteranno un osservato speciale, la pressione per la riduzione dei costi e l’implementazione delle riforme continuerà e non è da escludere il ritiro da altre Agenzie o accordi ritenuti non in linea con interessi o valori statunitensi.

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