27 Aprile 2024, sabato
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Mare nostrum non basta

Per salvare gli immigrati che rischiano la vita a sud delle nostre coste, l’Italia ha ritenuto di varare l’operazione Mare Nostrum. Anche se il fenomeno migratorio ha radici strutturali, tre fattori ne hanno evidenziato il carattere emergenziale:

– La caduta del regime di Gheddafi, che gestiva la “valvola” dei migranti a suo piacimento ma la gestiva;
‒ La sentenza Hirsi Jamaa della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Cedu) del 2012, in base alla quale è stata sancita l’impossibilità di effettuare respingimenti in mare di migranti verso la Libia; 
‒ La strage di Lampedusa del 3 ottobre, e quelle – anche recentissime – successive, che hanno reso evidente l’emergenza umanitaria implicita in questi viaggi della morte (secondo uno studio dell’Iue di Firenze il 3% di quanti si imbarcano per raggiungere l’Europa attraverso il Mediterraneo perde la vita nel viaggio).

Migranti soccorsi e scafisti arrestati
L’idea iniziale era attuare un’operazione europea, ed è stato chiesto l’aiuto degli altri Stati membri. Solo la Slovenia ha partecipato e per un tempo limitato, e Malta sta offrendo un aiuto condizionato. Abbiamo sostenuto le ragioni delle operazioni Sar, search and rescue, anche a Bruxelles, rimanendo sostanzialmente isolati.

I nostri partner sostenevano che queste operazioni sono un invito ai trafficanti, il cosiddetto “pull factor”, perché rendono meno rischiosa la traversata. E intanto, ad oggi, Mare Nostrum ha permesso di soccorrere 30.605 migranti, e di arrestare 200 scafisti circa.

Chi ha ragione? L’esperienza di Mare Nostrum, a sette mesi dalla sua istituzione, sembra in effetti confermare che un certo pull factor ci sia stato, ma non avevamo alternative. 

Due sono le specificità della frontiera marittima meridionale dell’Europa, che l’Italia è chiamata a gestire: 1) la presenza della Libia, paese instabile, il cui Governo controlla solo parzialmente il territorio e dove non si rispettano generalmente i diritti umani dei migranti. Come ci ha ricordato la Cedu, verso un tale Paese non si possono operare respingimenti in mare. Non resta quindi che portare i migranti sul suolo dell’Ue 2) i flussi “misti” in arrivo sono composti in gran parte di richiedenti asilo, che necessitano di particolari attenzioni ai sensi della normativa europea ed internazionale. 

Queste specificità ci differenziano dagli altri Stati membri dell’Ue. La Spagna ha una situazione diversa, e così la Grecia. Abbiamo degli accordi di riammissione con Tunisia ed Egitto, ma non con la Libia, né potremmo averlo nelle presenti circostanze. Ed il 93% dei flussi via mare transitano ormai da tale Paese. 

Domande di asilo in Europa
L’operazione Mare Nostrum ha però un costo, che si aggira sui 9,5 milioni al mese. Non possiamo quindi continuare indefinitamente. Dobbiamo chiedere un contributo maggiore all’Ue, con uno sforzo supplementare degli altri Stati membri. 

Per farlo, bisogna chiarire che l’Italia è chiamata a gestire il tratto più problematico della frontiera meridionale dell’Europa. Solo questo ci può consentire di rispondere alle previste critiche verso le operazioni Sar, che sarebbero un potente “pull factor”, e alla considerazione che altri Paesi processano annualmente numeri ben maggiori di domande di asilo. 

Nessuno lo può negare: nel 2013 i 38 Paesi europei hanno processato 484.000 richieste di asilo, di cui 109.600 in Germania, 60.100 in Francia e 27.800 in Italia. Se si calcolano le domande di asilo in rapporto alla popolazione, l’Italia è penultima nell’Ue con cifre superiori solo alla Polonia. 

Questo confronto è però parzialmente fuorviante. Ciò che avviene nel canale di Sicilia è un’operazione umanitaria di salvataggio in mare, attuata per cercare di porre parziale rimedio a un dramma umano che quotidianamente si ripete, ben diversa dall’esame di una domanda di asilo da compiere in un ufficio di Francoforte. È anche qualcosa di molto più impegnativo e costoso, che riguarda l’intera Ue.

Rafforzare Frontex
Se si vogliono evitare tragedie come quella di Lampedusa, occorre superare l’azione italiana e pensare ad un’azione europea. L’ipotesi più percorribile sembra essere quella di rafforzare Frontex, senza escludere operazioni Sar. Va fatto in fretta: se l’Italia dovesse cessare l’operazione Mare Nostrum senza un valido rimpiazzo europeo, sono da temere nuove tragedie. Ed in questo caso la responsabilità sarebbe dell’Ue intera. 

Non basta però il controllo delle frontiere. Un’azione europea urge anche nei Paesi di transito delle rotte migratorie. Prima di tutto occorre fare il possibile per aiutare la Libia a gestire gli ingenti flussi migratori che la interessano, al fine di scoraggiare il business del traffico di migranti. 

Si tratta di un’impresa molto difficile, perché si tocca un settore che vale circa il 10% del Pil del Paese. Nel farlo occorre ricercare la cooperazione di organizzazioni internazionali quali l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, Oim, e, in prospettiva più lunga, anche l’Unhcr. Bisogna anche sollecitare Tripoli a rafforzare il proprio dispositivo di controllo delle frontiere marittime, incoraggiando i primi timidi segnali di attività in questo settore.

Paesi di origine e di transito
A monte, occorre intervenire sui Paesi di transito dell’Africa sub sahariana, nonché – nei limiti del possibile – sui Paesi di origine. Per questo l’Italia sta pensando a un’iniziativa nei Paesi dell’Africa orientale, che includa il Corno d’Africa, Egitto e Libia, da condurre con Ue e Unione Africana. 

Si pensa a un’iniziativa concreta, non a riunioni con documenti finali che nessuno legge. Il fine è di convogliare le risorse dell’Ue e degli Stati membri; contribuire ai progetti dell’Oim e Unhcr; incoraggiare quei Paesi a migliorare la gestione dei migranti alla luce dei loro obblighi di diritto internazionale; rafforzare le loro capacità di smantellare le reti dei trafficanti; incoraggiare i rimpatri volontari, laddove possibile; sviluppare possibilità di impiego come alternativa ai “viaggi della morte”.

È un programma di lungo periodo, ma occorre iniziare ora. Ci sono in Libia circa 800 mila stranieri che potrebbero decidere di imbarcarsi per l’Europa. Nel medio termine i conflitti, la scarsità di acqua ed i cambiamenti climatici potrebbero aumentare a dismisura il fenomeno migratorio nel Mediterraneo. È bene iniziare a pensarci ora. 

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