27 Aprile 2024, sabato
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Europei non si nasce, si studia

Un modo per capire l’importanza di una cosa è sperimentarne o temerne l’assenza. Lo sanno bene centinaia di studenti universitari europei che hanno temuto di dover rinunciare a un’esperienza fatta di sfide burocratiche, incertezze logistiche, ristrettezze economiche e studio, abbinati a una sovraesposizione di socialità multiculturale e plurilinguistica. In due sole parole, il programma Erasmus. 

Da Erasmo al demos europeo
Nell’ottobre del 2012, la Commissione europea aveva spaventato tantissimi studenti con le valigie pronte, confermando i timori del Parlamento europeo (Pe) sull’esaurimento dei fondi destinati al progetto. I bilanci in rosso rischiavano seriamente di lasciarli a casa. Una situazione surreale per una delle iniziative di maggior successo dell’Unione europea (Ue), che proprio in quell’anno celebrava i suoi 25 anni. 

È difatti dal 1987 che grazie ad un acronimo piegato all’onore di Erasmo da Rotterdam, pioniere degli studiosi itineranti, gli universitari hanno iniziato a incrinare le frontiere europee, conoscendosi e mischiandosi, scoprendo, sul campo, quanta unità possa nascere nella diversità. Insomma, contribuendo nel proprio piccolo alla creazione di quel demos europeo che studiosi, politici e perfino corti costituzionali si affannano con difficoltà a cercare da anni. 

La solita goccia nell’oceano, obiettano i più pessimisti, un ricordo indelebile nella crescita e nella formazione di tanti giovani (ormai adulti), si affrettano a ricordare tutti gli altri. Quello che è certo, è che decine di proteste si sono scatenate dopo la notizia sull’imminente stop dell’Erasmus che hanno portato il Pe a negoziare con la Commissione e il Consiglio, in extremis, una linea di finanziamento supplementare (circa 6 miliardi di euro), assicurando il programma anche per il 2012 e il 2013. Il pericolo non è però stato corso invano. 

L’Ue e i suoi stati membri sembrano aver imparato la lezione e l’importanza assunta dall’Erasmus. Nel nuovo quadro finanziario pluriennale 2014-2020, l’Erasmus è una delle poche voci ad aumentare i propri fondi rispetto agli anni precedenti (14,7 miliardi di euro per sette anni, circa il 40% in più), cambiando struttura e ampliando gli ambiti di attività. Con l’obiettivo di offrire di più, sin dal nuovo nome, l’Erasmus plus è divenuto il programma quadro dell’Ue nel campo dell’istruzione, formazione, gioventù e sport. 

Leonardo, Comenius, Grundtvig e Gioventù in azione
La finalità che gli ha dato i natali rimane centrale, due terzi del bilancio saranno ancora destinati alle opportunità di studio all’estero. Per sostenere la mobilità sia all’interno che all’esterno dell’Unione, il programma ha previsto anche l’istituzione di uno strumento di garanzia dei prestiti, che aiuterà gli studenti universitari a finanziare i loro studi. 

La cooperazione tra i soggetti, statali e non, dedicati a promuovere l’innovazione, l’imprenditorialità e l’occupazione giovanile, insieme alla promozione delle riforme politiche in materia di istruzione e formazione, rappresentano gli altri principali obiettivi che si è posto l’Erasmus plus. 

Nel tentativo di superare l’eccessiva frammentazione lamentata nel passato, questo programma raggruppa ora tutte le iniziative settoriali che facevano parte del Lifelong Learning Programme della Commissione, ovvero i programmi Leonardo – dedicato alla formazione professionale – Comenius – riguardante l’istruzione scolastica – Grundtvig, relativo all’educazione degli adulti ed ovviamente il ben noto Erasmus. 

A questi si aggiungono poi il programma Gioventù in azione, che ha lo scopo di sviluppare e sostenere la cooperazione europea tra i giovani, oltre a tutti i programmi di cooperazione internazionale dell’Ue nel campo dell’istruzione. Tra le novità più interessanti vi è altresì l’introduzione di una linea di bilancio specifica per lo sport, che mira a sviluppare una dimensione europea delle attività sportive giovanili, e a contrastare minacce come il doping.

Ricercatori, disfate le valigie
Se l’Erasmus plus ha come protagonisti la didattica e l’insegnamento, a curarsi della ricerca scientifica e dell’innovazione è Horizon 2020 che vanta obiettivi tanto chiari quanto ambiziosi. Con un budget di circa 80 miliardi per 7 anni, il programma tenterà di contribuire al raggiungimento di una crescita economica intelligente e sostenibile, rendendo l’Europa una delle regioni più competitive al mondo.

In un certo senso, Horizon 2020 mira al risultato opposto di Erasmus plus: disfare le valigie dei tanti giovani, ricercatori e lavoratori altamente qualificati, pronti a lasciare l’Europa nella speranza di trovare, altrove, un lavoro che ricompensi anni di studio e sacrifici. La creazione di un vero spazio europeo della ricerca significa anche questo, dare l’opportunità agli europei di continuare a esserlo nel proprio continente. 

Recitare in conclusione il mantra del “ci vuole più Europa” nella formazione e nella ricerca, potrebbe apparire quasi superfluo, ma parlando con gli universitari svizzeri si scopre che non lo è. Le loro domande di partecipazione al programma Erasmus finiranno quest’anno in fondo alla lista. 

È una delle prime conseguenze al risultato del referendum elvetico dello scorso febbraio che ostacolerà la libera circolazione dei lavoratori stranieri. Un atto dovuto da parte dell’Unione europea (non si è trattato di ritorsione) che ha già provocato più di un malumore tra i gli studenti e ricercatori svizzeri. 

In fin dei conti è vero, per capire l’importanza di una cosa bisogna sperimentarne l’assenza. 

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