26 Aprile 2024, venerdì
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DOPO LE EUROPEE, CHE SARANNO UN TERREMOTO, LA POLITICA ITALIANA ANDRÀ TOTALMENTE RIPENSATA

Ci siamo. L’avvicinarsi delle elezioni europee e il dischiudersi di quattro settimane di campagna elettorale all’insegna del populismo più sfrenato, ha rotto l’incantesimo della clamorosa ascesa di Renzi al potere (segreteria del Pd e poi palazzo Chigi) – che rischia di rivelarsi prematura e frettolosa, come TerzaRepubblica ha detto in tempi non sospetti – e complica il gioco politico più di quanto la narcosi prodotta dall’irrompere sulla scena del “rottamatore rivoluzionario” impedisca di immaginare. Paradossalmente, la prima elezione del parlamento di Strasburgo con un qualche significato politico europeo – vuoi per la crisi dell’eurozona e dell’eurosistema, vuoi perché per la prima volta si vota in modo diretto per il presidente della Ue, seppure in modo spurio, un po’ all’italiana – da noi avrà un’importanza prettamente nazionale. Proprio perché il risultato del 25 maggio sarà determinante per gli equilibri politici interni, molto più fragili di quanto la retorica mediatica di questi mesi abbia dato a vedere.

Infatti, è bastato che Berlusconi tornasse in tv certificando di essere in possesso di quella che ha definito la sua “agibilità politica”, e che sospendesse in una sorta di limbo il “patto” con Renzi (senza cancellarlo, peraltro), ed ecco che la politica è sembrata tornare nell’anarchia pre-Renzi. No, noi non crediamo che il Cavaliere sia in grado di dar vita a chissà quale mirabolante performance elettorale (a meno che non si consideri una vittoria attestarsi al 18-20%, perdendo altri milioni di voti oltre ai 6 che l’hanno abbandonato l’anno scorso), ma certo d’ora in avanti attingerà alla sua inesauribile vena demagogica per dar fondo ad un  repertorio di slogan anti-euro. Che gli eviterà il precipizio dei consensi, ma soprattutto che indurrà tutti gli altri competitor – dalla destra alla Lega fino a Grillo e alla sinistra radicale – a non essere da meno. Tutti meno il Pd, che per cultura e vincoli di governo non potrà andar oltre i distinguo tipo “euro sì, ma” che non pagheranno in una competizione che in tutta Europa e non solo in Italia vedrà scaricare sulla moneta unica e su Bruxelles le frustrazioni di una crisi durata troppo a lungo e che ha mostrato tutti i limiti del percorso d’integrazione fin qui messo in campo dal Vecchio Continente. Limiti che saranno resi ancor più evidenti dal ritorno alla “guerra fredda” che la politica espansiva russa e gli errori americani del recente passato stanno rieditando.

Insomma, a un mese dal voto lo scenario che appare più probabile è quello della tripolarizzazione della politica italiana, con Berlusconi che confermerà il suo ineluttabile declino ma non così tanto da non poter più incidere sul dopo-voto (anche perché le truppe parlamentari di Forza Italia rimarranno quelle espresse dal voto dell’anno scorso, pur con la diaspora di Ncd), con i pentastellati che si avviano a superare largamente il risultato delle politiche e con il Pd di Renzi che, perdendo un po’ di voti a sinistra e recuperandone al centro, sarà il primo partito ma senza incassare una squillante vittoria, né numerica né tantomeno politica. E se così dovesse andare, saranno guai per tutti. Per il presidente del Consiglio, che vedrebbe riesplodere i mal sopiti fermenti interni al Pd e che si ritroverebbe a dover ridefinire tanto il quadro delle riforme istituzionali – Berlusconi è stato chiaro: dal Senato alla legge elettorale, è tutto da rinegoziare – quanto quello della politica economica, visto che dopo le elezioni gli saranno imposte quelle compatibilità europee di bilancio su cui in campagna elettorale è stato chiuso un occhio. Ma saranno guai anche per il centro-destra, che dovrà fare i conti con una leadership, quella di Berlusconi, capace di impedirgli di crollare ma non di riconquistare il ruolo di un tempo. E saranno guai perfino per Lega e Grillo, che dopo aver gridato in compagnia di gente come la signora Le Pen che l’Europa va rottamata – Renzi, imparalo, c’è sempre qualcuno più populista che usa le tue stesse armi e ti scavalca – si ritroverà ad essere comunque una minoranza capace solo di esprimere un’opposizione sterile. E saranno problemi seri per Giorgio Napolitano, costretto a scegliere se lasciare la nave nonostante sia ancora preda dei marosi o se infliggere a se stesso il sacrificio, morale e fisico, di continuare.

C’è un’Italia vecchia e logora – nelle istituzioni, nella burocrazia centrale e locale, nelle professioni, nel capitalismo (quella parte, specie nei servizi, che non si è ancora internazionalizzata), nelle rappresentanze sociali e degli interessi (a cominciare da sindacati e Confindustria) – che occorre spazzar via. Costi quel che costi. E c’è un’Italia nuova, in parte già fiorita – si pensi alle imprese globali – e in buona misura ancora tutta da creare, che deve poter emergere. Al più presto. Se non siamo ancora entrati nella Terza Repubblica – perché purtroppo non ci siamo, nonostante la Seconda sia definitivamente morta e sepolta – è perché occorreva una fase di transizione, inevitabilmente popolata di figure “fugaci” e altrettanto inevitabilmente costretta ad attingere a piene mani al qualunquismo populista. Ora, però, la transizione, che è durata fin troppo, deve finire. Abbiamo l’impressione che la resa dei conti verrà subito dopo le elezioni europee. Per quanto dovrà accadere nell’eurosistema – anch’esso dentro una fase di transizione che deve finire – per la pressione che il mutato scenario geo-politico-energetico imporrà, peraltro riassegnando una perduta centralità all’Italia, e per la disarticolazione che subiranno gli assetti politici interni. Chi ha a cuore le sorti del Paese e vuole evitare lo sbarco della Troika – perché quella di solito cura la malattia ma lascia il malato cadavere – sappia fin d’ora che occorrerà inventarsi qualcosa di nuovo. Riparliamone a giugno.

 

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