29 Marzo 2024, venerdì
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L’age management entra nella PA

La gestione del fattore età comincia ad essere percepita come un tema prioritario della gestione del personale nella PA. L’invecchiamento della forza lavoro all’interno degli enti pubblici è un dato ormai evidente che la riforma Fornero è destinata solo ad accentuare.

La crescita degli over 50 nella PA
La tendenza parte da lontano: dal 2001 al 2011 l’età media del dipendente pubblico è salita da 43,6 a 47,8 anni (fonte Aran). La composizione del pubblico impiego per classi di età rende ancora meglio la situazione demografica della PA. A fine 2011, 44 dipendenti su 100 avevano più di 50 anni. Invece, solo 4 su 100 avevano meno di 29 anni. Il dato poi si incrocia con un’altra criticità: il vincolo posto alle assunzioni che rallenta il ricambio generazionale.
Inoltre, la diminuzione della quota di popolazione potenzialmente attiva nel mercato del lavoro (vedi proiezioni demografiche per l’Italia al 2050) costringe a riflessioni sulla tenuta dei sistemi di welfare che proprio la PA, almeno in passato, era tenuta ad assicurare. Andrà quindi affrontato il tema dell’intreccio fra l’invecchiamento della società, l’invecchiamento della forza lavoro della PA e la necessità di ridefinire qualitativamente e quantitativamente i servizi fino ad ora garantiti dalla pubblica amministrazione sostanzialmente a carico della fiscalità generale.
In questo scenario i capi del personale si trovano ad affrontare almeno due ordini di problemi. Il primo riguarda il dialogo all’interno degli enti tra le diverse generazioni. Il modo in cui si compongono le differenze generazionali, ad esempio tra over 50 e under 35, influenza il clima aziendale e il concreto funzionamento degli uffici. Il secondo, di cui ci occupiamo in queste pagine, riguarda la valorizzazione delle classi di età mature, in modo che l’età non diventi un problema per il loro efficiente impiego. Perché l’invecchiamento dei dipendenti influisce sull’evoluzione delle competenze, sull’andamento della produttività e del costo del lavoro di un ente. Si tratta di relazioni il cui esito non è univoco, ma dipende dal tipo di lavoro, dal contesto organizzativo in cui si svolge e, appunto, dalle modalità di gestione delle risorse umane adottate.
Un contesto organizzativo caratterizzato da una dirigenza capace di leggere correttamente le dinamiche relazionali e da modalità di gestione orientate all’ascolto e alla partecipazione possono favorire il mantenimento di elevati livelli di produttività anche nelle classi di età mature.

Il fattore età come risorsa per la PA 
Diversi studi indicano come all’aumentare dell’età diminuisca la performance fisica e la capacità di apprendimento. In compenso si acquisiscono altre competenze . Aumenta, ad esempio, l’esperienza intesa come conoscenza approfondita del contesto lavorativo, delle procedure e delle casistiche più frequenti. Così il tempo dà modo di affinare le capacità relazionali.
Una gestione accorta del personale deve essere in grado di riconoscere e valorizzare il proprio capitale umano, inteso sia come capacità tecniche ma anche come esperienza e cultura del lavoro. Disegnando, ad esempio, le mansioni in funzione dell’età. In termini molto generali, può essere che il profilo di lavoro più idoneo a valorizzare il contributo dei dipendenti senior (over 55) sia legato prevalentemente a mansioni impiegatizie e direttive che non richiedono impegni fisici di rilievo, dove fatica e stress assumono una diversa natura. In particolare, mansioni dove è meno necessaria l’elevata padronanza dell’uso delle tecnologie soggette a innovazioni continue e sono, invece, importanti l’abilità relazionale (ad esempio, il rapporto con il cittadino), la capacità di gestione delle situazioni con l’esperienza e la sensibilità acquisita nel tempo, garantendo affidabilità e responsabilità nelle attività.
Una gestione accorta del fattore età non si esaurisce in una buona tecnicalità, occorre prestare attenzione anche ai profili psicologici. Uno degli aspetti più delicati da gestire in ordine a un efficace impiego dei lavoratori senior è legato alla loro motivazione, intesa come spinta ad agire. E qui il loro atteggiamento verso questo prolungamento “forzato” della vita lavorativa gioca un ruolo affatto secondario. La sensazione è che l’interesse a rimanere più a lungo nell’amministrazione sia circoscritto a una parte, neanche tutta, della componente più qualificata e istruita dei lavoratori anziani, spesso con ruoli direttivi.
Ciò in linea con le ricerche sul mercato del lavoro, effettuate anche prima della riforma Fornero che evidenziavano un atteggiamento, diffuso tra i lavoratori over 50, non particolarmente favorevole al prolungamento dell’attività lavorativa oltre i 55 anni. La diffusione di una preferenza per il pensionamento dopo i 55 anni, è forte soprattutto nelle fasce del lavoro meno qualificato .
Tutto ciò rende ancora più difficile il compito che attende i capi del personale in una fase già resa turbolenta dal blocco degli stipendi e delle progressioni nel pubblico impiego. Vista l’impossibilità legale di incidere attraverso la leva retributiva, è evidente che gli sforzi debbano essere concentrati sull’elaborazione di strategie motivazionali non monetarie.
Serve, quindi, una strategia capace di incidere tanto sull’evoluzione dei compiti lavorativi e sull’aggiornamento delle competenze, quanto sui diversi aspetti che determinano le condizioni di impiego come, ad esempio, la flessibilità d’orario e la graduale transizione verso la quiescenza dal servizio.

Gli orientamenti Ue per il settore dei servizi pubblici
L’importanza della gestione del fattore età (age management) per il successo di una impresa, pubblica o privata che sia, è sostenuta da diverse istituzioni pubbliche e think tank privati che hanno studiato il tema.
A livello Ue esistono diversi documenti che possono aiutare i datori di lavoro, i sindacati e le istituzioni ad individuare le principali aree di intervento di una strategia di gestione del fattore età, sia nell’ambito pubblico che privato. Ad esempio, la European Foundation for the improvement of Living and Working Conditions ha pubblicato una relazione “A guide to good practice in age management” (Naegele G.-Walker A., 2006) in cui vengono analizzate le politiche utili in questo campo. Queste misure sono state riprese e rielaborate assieme ad altri contributi dalla Fsesp (Federazione sindacale europea dei servizi pubblici) nel documento “Assunzione e mantenimento al lavoro dei lavoratori anziani nell’ambito di un approccio alla gestione del fattore età” (2007) elaborato in occasione della conferenza su “Contrattazione collettiva e dialogo sociale. Il futuro delle relazioni industriali nel settore dei servizi pubblici in Europa”. Le misure richiamate nel documento sono qui sintetizzate e commentate con riferimento alla realtà italiana.
Politiche di assunzione. Serve una programmazione delle assunzioni attenta a mantenere un equilibrio nella composizione della forza lavoro nel tempo e l’attenzione delle parti sociali per evitare possibili discriminazioni nelle assunzioni in base all’età. Togliendo, ad esempio, ogni riferimento all’età nelle offerte per la ricerca di personale, evidenziando invece il profilo necessario per lo svolgimento dell’impiego in questione.
Una proposta in questo ambito ci sentiamo di avanzarla. Pur all’interno di modeste possibilità di assunzioni, visto l’obbligo legislativo di riduzione dei dipendenti pubblici, un’ipotesi alternativa potrebbe essere l’elaborazione di un progetto che riservi una quota (ad es., 10%) ai soggetti di età superiore ai 55 anni espulsi dai processi produttivi per ristrutturazioni aziendali o chiusura di attività ed opportunamente riqualificati anche attraverso l’uso dei fondi europei a ciò destinati. Questa categoria di lavoratori potrebbe avere una prospettiva occupazionale di circa 10 anni consentendo un pieno recupero delle risorse investite in addestramento/formazione.
Formazione e apprendimento e sviluppo professionale garantiti lungo l’intero arco della vita, non discriminando i lavoratori senior e studiando metodi di formazione adatti ai lavoratori anziani. Qui dobbiamo ricordare che, purtroppo, nella pubblica amministrazione italiana gli ultimi anni sono stati caratterizzati da tagli obbligatori di oltre il 50% alle risorse destinate alla formazione.
Oggi, quindi, la formazione rischia di essere sostanzialmente un momento episodico governato dall’emergenza (o dalla legge: ad esempio, obbligo formativo in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, obbligo formativo nel campo della prevenzione della corruzione). Un progetto serio dovrebbe riguardare i contenuti a partire dai metodi, differenziando temi e moduli formativi in coerenza con le politiche del personale e lo sviluppo dei modelli organizzativi.
Orario di lavoro e flessibilità per rispondere all’evoluzione delle capacità fisiche o mentali dei lavoratori senior, in funzione della tipologia della loro attività. Lavori che richiedono notevoli sforzi fisici o impieghi particolarmente stressanti sul piano mentale o emotivo possono giustificare un adeguamento dell’orario di lavoro, non solo per i lavoratori di età avanzata, ma anche per tutte le categorie che svolgono mansioni di questo tipo, che sarebbero altrimenti minacciate da gravi problemi di salute. Nel documento si cita il caso del settore sanitario belga. Le parti sociali nazionali hanno negoziato una riduzione dell’orario di lavoro a 32 ore settimanali per i dipendenti anziani a partire dai 55 anni di età.
Promozione e tutela della salute, soprattutto nell’ambito delle valutazioni dei rischi che minacciano i lavoratori in età avanzata. Secondo Fsesp bisogna tener conto dei rischi alla salute di tutti i lavoratori, evitando infortuni e malattie tra i dipendenti più giovani che potrebbero causare, in seguito, prolungate assenze per malattia o un prepensionamento per motivi di salute.
A nostro avviso, un tema cruciale per le categorie senior è la tematica del c.d. rischio stress-lavoro correlato, oggi affrontato solo da una punto di vista formale e senza una visione globale. Sarebbe opportuno partire dalle mansioni (e dalla spesso percepita inadeguatezza a fronteggiare i mutamenti organizzativi adottati sulla spinta di cambiamenti nelle tecnologie, nelle relazioni gerarchiche e professionali) per arrivare fino a considerare gli effetti provocati dal ritardo nell’uscita dall’amministrazione. Da questo punto di vista appare sempre meno rinviabile la presenza costante all’interno della PA di figure professionali attrezzate a gestire il tema (ad es., psicologo).
Mobilità interna e riconversione del personale, mano a mano che mutano le necessità ed abilità. Ricordiamo a questo proposito che la pianificazione della “carriera” professionale assume oggi connotazioni diverse dal passato anche e soprattutto legate al ritardo legislativamente imposto all’uscita dal mondo del lavoro.
Le organizzazioni migliori affrontano il tema ragionando sia su mobilità orizzontale che su mobilità verticale e accompagnando i processi da adeguati, progettati e non episodici, momenti formativi. È questo un tema che meriterebbe davvero una trattazione autonoma rappresentando la versa sfida nell’ambito della motivazione e della crescita professionale dei senior.
Uscita dal lavoro e transizione verso il pensionamento. Per chi si avvicina all’età pensionabile, diverse amministrazioni pubbliche hanno introdotto la possibilità di ridurre il proprio orario di lavoro senza essere penalizzati da un corrispettivo abbassamento del reddito. Nel settore elettrico svedese, ad alcuni dipendenti più anziani (a partire dai 57 anni di età) è stata offerta la possibilità di fruire del c.d. sistema “80/90/100” che consente un orario di lavoro pari all’80% del precedente tempo pieno, ricevendo il 90% del salario e fruendo del 100% della rispettiva copertura pensionistica. Inoltre, sono stati organizzati seminari e programmi di mentoring per mettere in circolo quelle conoscenze e competenze del personale senior che non possono essere ottenute solo studiando un manuale o frequentando un corso di formazione. L’azienda per i servizi socio-sanitari di Barcellona ha introdotto una politica di pensionamento graduale, che consente ai lavoratori di ridurre sino all’85% il proprio orario di lavoro nel periodo che precede la pensione.

Il patto generazionale stipulato in provincia di Bolzano 
L’adozione di misure per la gestione dell’età (age management) nel pubblico impiego sconta il problema della scarsità di risorse. Molto però dipenderà dagli attori della PA: a partire dai politici, la dirigenza e le forze sindacali. Dalla sensibilità con cui sarà analizzata l’evoluzione demografica degli enti, concordato una politica di intervento che prenda in considerazione il fattore età senza creare discriminazioni verso i lavoratori anziani o penalizzare le giovani generazioni.
Non si parte da zero. I contratti collettivi di lavoro già contengono alcune misure che richiamano gli interventi individuati dai documenti comunitari di cui si è detto nel paragrafo precedente. La previsione del cambio di mansione, la mobilità, il ricorso al part time, il telelavoro, sono esempi di misure che richiedono solo di essere maggiormente contestualizzate alla sfida dell’invecchiamento attivo.
A livello locale, un esempio in materia di age management viene dalla provincia di Bolzano con il contratto collettivo intercompartimentale riguardante il patto generazionale stipulato lo scorso 26 novembre. L’obiettivo del patto, precisato nell’art. 2, è favorire l’assunzione di giovani disoccupati e di altre categorie, da individuarsi sulla base degli indirizzi generali stabiliti dal piano pluriennale per l’occupazione della provincia.
L’assunzione è prevista per i posti che si renderanno vacanti in seguito alla riduzione dell’orario di lavoro del personale – da un minimo del 25% e fino ad un massimo del 50% – in procinto di essere collocato a riposo, con esclusione di maggiori oneri per l’amministrazione di appartenenza (provincia, comuni, comunità comprensoriali, case di riposo, sanità, scuola, Ipes, aziende di soggiorno). L’amministrazione di appartenenza si assume per tale personale, e per il corrispondente periodo, i contributi di previdenza e di quiescenza. I risparmi di spesa ottenuti con queste misure sono impiegati per coprire le spese per l’assunzione in servizio dei giovani disoccupati di cui sopra.
Possono richiedere la riduzione dell’orario di lavoro i dipendenti a tempo indeterminato, con almeno 60 anni d’età, cui non mancano più di tre anni al collocamento a riposo e godono di un trattamento retributivo non inferiore al decimo scatto del livello retributivo. La precedenza sarà data al personale più vicino al collocamento a riposo. I sindacati calcolano che per ogni 100 lavoratori senior part time, sarebbe possibile assumere 25 lavoratori junior.

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