25 Aprile 2024, giovedì
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Genova, la Concordia e 500 milioni da demolizione. Meglio affondarla al largo?

Ora aspettano tutti la Concordia, il suo immane relitto, trainato da mezza dozzina di superimorchiatori dalla sua tomba-sarcofago del Giglio, puntuto di scogli, alla sala di cremazione del porto genovese di Voltri, dove la grande nave Costa sarà fatta a pezzi.

Demolita si dice tecnicamente nel gergo marittimo, indicando quell’operazione a rovescio nella quale i genovesi sono maestri così come nel costruirle e innalzarle come cattedrali perfette e lucide e scintillanti e svettanti, le grandi navi, così come a distruggerle, lamiera per lamiera, ponte per ponte, cabina per cabina, dal fumaiolo gigantesco al ventre profondo della sala macchine.

Con questa primogenitura nel dna portuale marittimo ancestrale Genova aspetta l’arrivo dellanave della sciagura e del disonore marittimo italiano, non certo cancellato dai processi, dalle sette vite di Gennaro Schettino, il capitano infedele e fuggitivo, per un’operazione oramai quasi certa, che impiegherà il porto di Genova per quasi due anni, schierando un esercito di trecento demolitori, come formiche a spolpare quel mostro che incombe aancora per poco sul Giglio.

Alla certezza dell’operazione, già calendarizzata per giugno, manca solo l’imprimatur finale e c’è da battere la concorrenza di Civitavecchia, il porto pimpante di Roma e poi l’affare è fatto. Marsiglia è stata sconfitta, come Palermo, come il miraggio turco, come Piombino non ancora del tutto escluso.

A Genova sono già state costituite le società tra Saipem, la grande azienda di Stato, partecipata dall’Eni, esperta nella costruzione di piattaforme gigantesche nei mari del mondo, la San Giorgio e la Mariotti, aziende di riparazioni navali, che sono nel cuore dello scalo genovese, sofisticate come il massimo del made in Italy nella costruzione di grandi yacht di lusso, ma abilissime anche nel lavoro di demolizione. Ma chi ha mai affrontato, in questo settore chiave dell’economia marittimo cantieristica, un’operazione tanto grande come quella di smontare una nave grande quanto la Concordia? Un affare da oltre cinquecento milioni di euro.

Nessuno mai e la sfida appare, quindi, come una specie di epopea dalla quale il porto genovese e non solo, ma l’intera città, ripiegata sul suo grande scalo, le banchine dalla storia medioevale e dal futuro incerto, potrebbero riscattarsi, trovare non solo il megabusinessa, ma anche un altro mestiere nella tradizione della demolizione.

Per questo la scena dell’arrivo della Concordia viene già quasi pregustata non come un segnale nefasto, del mondo marittimo che si rovescia, ma come una animazione di una industria base, quella della cantieristica e della riparazione navale, capaci di innescare una filiera positiva. Se la immaginano già arrivare a Genova questa nave ridotta a un relitto cadaverico oramai da quasi diciotto mesi, rimessa in piedi come da un colpo di bacchetta magica il tredici gennaio del 2014, dopo diciannove ore di grande suspense, con quell’ operazione di riallineamento nella quale non tutti credevano e ora quasi pronta al trasbordo più spettaccolare della storia marinara.

Sbucherà dalla punta incantata del promontorio di Portofino la Concordia, nave da 115 mila tonnellate di stazza, 290 metri di lunghezza, 35 di larghezza, 70 di altezza, solo trenta metri sotto il faro mitico della Lanterna genovese, 1500 cabine, tredici ponti, 28 suite di lusso, tre teatri e ogni altra diavoleria del tempo libero a spasso per gli oceani, dopo quindici giorni di traino e “spaventerà” quel pezzo di costa che corre verso Genova e le fauci del suo porto all’imboccatura di Levante, quella dietro il quale sfavillava fino a quando sfavillava il magico Salone Nautico oggi agli sgoccioli.

Che spettacolo davanti a Camogli, la città dei mille velieri, dei capitani di bastimenti famosi in tutto il mondo ancora oggi, che se capita una disgrazia di mare in qualsiasi oceao, un incendio, un naufragio, un salvataggio, un atto di eroismo o di grande perizia, tutti chiedono subito: “Ma il capitano era di Camogli?”, per spiegare una fama che nessuno Schettiono sciagurato può ancora mettere a repentaglio!

Che spettacolo sarà il passaggio della nave gigante davanti al piccolo porto di Camogli, dove basta uno sguardo per misurare ogni nave, il suo equipaggio, la rotta, dove quel passaggio sarà molto di più che un corteo funebre in mezzo al mare. I rimorchiatori a prua, a poppa saranno come i cocchieri di quel corteo che andrà proprio a passo di funerale, quanti nodi comandante? tre, quattro, cinque, per trascinare il supertonnellaggio e un barco che viaggia contro natura.

Aveva le macchine per spianare qualsiasi onda, aveva la prua per emergere, rimpicciolendola, qualsiasi tempesta anche quella perfetta, aveva ponti tanto alti che perfino i gabbiani nello loro planate si intimorivano e ogni proporzione con la costa si disintegrava in quella immensità, la bandiera di prua tanto alta che qualsiasi altra nave incrociata stava sotto di metri e metri.

E ora eccola lì che torna indietro al traino, dopo che sono stati sondati tutti i bollettini meteo del mondo per essere sicuri che l’equilibrio precario di chi ha rovesciato quello che era irrovesciabile non vada in malora. Basaterebbe un mare un po’ forte, un’onda di qualche metro, uno scirocco cattivo dalla punta di Portofino o anche solo un grecale animato o peggio del peggio il libecccio maligno che sia abbatte frontale sulla costa ligure e in certe giornate di vento porta le onde a fare da cappello alla nobile chiesa di Camogli, di guardia al suo porto, di fianco alla spiaggia di sassi, e il secondo destino della Concordia, dopo quello della notte dell’inchino di compirebbe e questa volta su uno scenario forse ancora più spetaccolare, la Punta Chiappa e il profilo maestoso della Superba che si alza dal mare verso Levante.

E pensare che quel catafalco in processione liturgica-marittima è stato pugnalato dopo la follia dell’inchino da uno scoglio aguzzo come una rasoiata, simile a quelli che emergono da Portofino, che fanno la guardia al Promontorio della Grande Bellezza ligure, delle mille canzoni delle serenate “I found my love in Portofino”, dell’incanto assoluto, dove il mare si mescola con tutti i colori sotto quella costa di piccole inenature, di spiagge rupestri, di una vegetazione fantastica, di ville color rosso Liguria,, piccole case, disseminate come i sassi di Pollicino fino alla periferia orientale della grande città.

Quale bestemmia verrà inghiottita dai marinai dalla lunga storia che vivono ancora abbarbicati su quella costa e hanno oramai come unico scopo quotidiano di ex comandanti, ufficiali, nostromi e primo, secondo terzo di macchina, di guardare il loro mare, spiarne il respiro, il colore, l’onda, giorno per giorno, quando vedranno il cielo oscurato dalla sagoma della Concordia in viaggio verso la sua sala di cremazione?

E ammutoliranno tutti, non solo loro, lungo i paesi che avvicinano quegli scogli alla grande città e tratterranno il respiro a veder scorrere quello che è, appunto, un mondo a rovescio, sulle spiagge, nelle piazze che si affacciano sulle praterie del mare.

La Concordia avrà ancora la sua identità di nave intera, anche se truccata dalla finzione del galleggiamento “assistito”, dalla mascherata del trasporto al traino e sopratutto dalla sua anima perduta “dentro”, dove il mare ha commesso tutte le sue violenze quella notte della tragedia, uccidendo trentadue volte e spolpando fino in fondo il ventre della città galleggiante. Una mascherata di navigazione, appunto, fino a Voltri, il porto satellite di Genova, per arrivare al quale il corteo non dovrà scavalcare solo la costa nobile della Riviera ma l’intero porto genovese storico e poi quello commerciale di Sampierdarena e poi l’aeroporto con le piste nell’acqua e poi gli ultimi lembi del Ponente genovese, dove il mare è stato cancellato dalle grandi fabbriche.

Vuol dire che la Concordia passerà davanti al cantiere dove è nata, a Sestri Ponente, stabilimento Fincantieri, con il varo nel luglio del 2006, madrina la superstar Eva Herzigova. Manovra marittima quasi contronatura perchè le onde moribonde del relitto al traino percorreranno la stessa strada di quelle spumeggianti che hanno tracciato la prima rotta dopo il fantasmagorico varo della nave che ha già un tragico primato: mai nulla di più grande è andato a picco mei mari del mondo.

Ma la Concordia non è andata a picco e per miracolo i suoi quasi quattromila passeggeri si sono salvati sugli scogli del Giglio, con una peripezia che non ha precedenti moderni. Si è sdraiata sul fianco e per questo ora torna indietro e quella sua anima perduta ha raccolto solo le urla o il silenzio della morte di trentadue passeggeri, mentre le tragedia della navigazione sono piene di storie “assolute” di morte e sprofondamento. Inghiottiti, sepolti a migliai di metri, divorati dai pesci a ogni latitudine: quanto è lunga la storia del mondo e delle sue sciagure di mare.

Vuol dire che la Concordia, caso unico per il suo destino micidiale , sfilerà davanti a tutta intera la città, che sta acquattata sopra il suo porto, fino alle colline brulle dei forti che guardano da secoli l’orizzonte del mare e mai hanno avvistato un cadavere che torna indietro di una nave che avevano visto decollare in una grandiosa festa con i fuochi artificiali sparati fino ai loro vecchi e immutabili bastioni.

Quasi quasi ci sarebbe da augurarsi che quel trasporto incredibile avvenga di notte perché lo spettacolo di un tale funerale non deprima la già repressa vocazione marittima di una città che ha visto evaporare i suoi primati portuali, di traffici, di grande fabbrica sul mare, di tanti mercanti e scopritori che da qua partivano e tornavano dentro a questo stesso scenario che la nave capovolta percorrerà, mostrando la ferita profonda di una tradizione, di una storia, di una intera capacità maturata nei secoli e protetta geneticamente e poi per tradizione tramandata da centinaia di generazioni.

“Guarda, passa la Concordia!”, si annunceranno su e giù per le strade, le salite e le colline della ex Superba e se lo spettacolo sarà visibile la gente correrà come ha sempre fatto a guardare da dove si può il mare e il suo spettacolo. Come quando, quel giorno indimenticabile della London Valournel lontano 1970, un giorno terso come il ghiaccio, di vento potente e inarrestabile, con la luce trasparente come cristallo, con quella petroliera inglese che aveva tragicamente gettato l’ancora, che non poteva fermarla, poco lontano dalla diga foranea ed era andata a schiantarsi sui roccioni sotto la diga.

Il mare era diventato nero di petrolio contro il cielo cobalto e le onde blu, di quel blù che non dimentichi, con le venature candide di schiuma e i cadaveri dei marinai inglesi emergevano come statue di pece con i salvagenti inutili incatramati e gli sforzi eroici dei soccorritori.

Come quel giorno in cui la gente si assiepava in alto o in basso, intorno a quella diga a cercare di capire quel che succedeva e avvistava come una libellula l’elicottero di quel capitano coraggioso dei Vigili del Fuoco, il capitano Enrico, che riusciva a strappare dal gorgo del petrolio, del vento, delle onde, i marinai che ce la facevano.

Tulle le storie tragiche di mare hanno questa potenza spettacolare del segreto profondo nascosto: l’ineluttabilità della fine e l’uomo che lotta contro per salvare la sua vita o quella degli altri che sono in pericolo. La disperata uscita dalla Concordia rovesciata sugli scogli del Giglio, le migliaia di passeggeri che escono da bordo e “scendono” a terra e si buttano in un mare clamorosamente fermo nella notte buia d’inverno. E quasi tutti ce la fanno, meno i 32 che rimangono prigionieri nella pancia della supernave, con i loro corpi ripescati uno a uno, fino agli ultimi due del dopo-radrizzamento nel gennaio scorso.

Le decine di marinai inglesi che saltano nell’inferno blu di mare e petrolio dallo loro nave squarciata sugli scogli e quegli uomini coraggiosi che mettono in gioco loro stessi per tirarli fuori. Il comandante Schettino che scende a terra e gli urlano dalla capitaneria: “Cazzo, comandante, prenda quella biscaglina e torni subito a bordo”. E il capitano Enrico che in silenzio si butta alla cloche del suo elicottero nelle sventolate della tempesta e plana tra le onde, le rocce e la nave sventrata.

Ecco la potenza evocativa di quello che succede in mare, il suo dritto di eroismo e il suo rovescio di impudenza e irresponsabilità traditrice delle leggi marinare: se la Concordia passerà davanti a Genova, questa carica contrapposta di effetti speciali richiamerà una grande folla a contemplare il grande spettacolo che in secula seculorum il mare sa offrire.

Poi, alla fine, la grande nave capovolta sarà ormeggiata in fondo alle banchine di Voltri, dove finiscono non solo i moli di Genova, ma Genova stessa. E li i trecento uomini smonteranno i pezzi principali del relitto, “smaltendoli”, come si dice tecnicamente, separando le parti pericolose e inquinanti dal resto, con un lavoro a rovescio che nessuno ha mai visto, ma che è già tecnologicamente previsto.

Di quello che si toglierà in questa prima fase nulla sarà riutilizzabile se non i rottami di ferro non inquinanti, che magari finiranno in qualche altoforno di acciaio. L’operazione più delicata avverrà in una seconda fase, quando il relitto smozzicato, non più riconoscibile, sarà trasportato nel cuore del vecchio porto, con un altro viaggio a ritroso, presso l’area delle riparazioni navali, dove ci sono i bacini di carenaggio e dove la demolizione rientrerà in una fase più classica.

Un affare per i demolitori dal finale di questa storia incredibile di mare? Gli esperti negano e qualcuno, più cinico degli altri, sostiene che la soluzione migliore sarebbe stata quella di portare la nave-relitto molto al largo, dove i fondali sprofondano di centinaia se non di migliia di metri e di sepellirla così. A fondo con tutta la sua vergogna. Addio rischio inquinamento, addio altri rischi, connessi a una operazione complessa di grande macelleria navale in un grande porto.

Ma è una soluzione che non piace a nessuno. Quei cinquecento milioni di euro, costo approssimato, sono un affare per molti e un porto con una città alle spalle affamati di lavoro possono trarre dal ritorno funebre della Concordia un vantaggio, un respiro. Almeno questo.

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