26 Aprile 2024, venerdì
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In tema di giudizio abbreviato non condizionato e contestazioni suppletive del P.M.

Giudizio abbreviato semplice – art. 441, co. 1, c.p.p. -inapplicabilità dell’art. 423 c.p.p. –  impossibilità del P.M. a procedere a contestazioni suppletive
Nel corso di un giudizio abbreviato non subordinato ad integrazione probatoria, il Pubblico Ministero non può procedere alla contestazione suppletiva di eventuali aggravanti, giusto il disposto di cui all’art. 441, co. 1, c.p.p.

Giudizio abbreviato non condizionato –art. 441, co. 1, c.p.p. -inapplicabilità dell’art. 423 c.p.p. –  contestazioni suppletive del P.M. – nullità a regime intermedio
Nel corso di un giudizio abbreviato non subordinato ad integrazione probatoria, le eventuali contestazioni suppletive del Pubblico Ministero, in violazione dell’art. 441, co. 1, c.p.p. (per il quale non trova applicazione il disposto dell’art. 423 c.p.p.), determinano la nullità della sentenza, nullità che deve essere ritenuta generale a regime intermedio. Ne deriva che tale invalidità viene sanata ex art. 182, co. 2, c.p.p.  qualora l’imputato e/o il suo difensore presenti all’udienza non si oppongano alla contestazione suppletiva illegittima. (Nel caso di specie la Cassazione rigettava il ricorso dell’imputato il quale, pur non essendosi opposto nel corso del giudizio di merito, ne voleva far valere l’invalidità ex art. 441, c.p.p. in sede di impugnazione).

Giudizio abbreviato non condizionato – art. 441, co. 1, c.p.p. – violazione – contestazioni suppletive del P.M. –  nullità assoluta di ordine generale ex artt. 179 e 178, lett. b),  prima ipotesi,  c.p.p.  – esclusione – violazione del diritto di difesa – nullità a regime intermedio ex art. 178, lett. c) c.p.p. – onere di contestazione
La nullità della sentenza emessa in un giudizio abbreviato “semplice”, derivante da contestazioni suppletive svolte dalla pubblica accusa (in violazione dell’art. 441, co. 1, c.p.p.) non è qualificabile come nullità assoluta per violazione delle prerogative concernenti l’iniziativa del P.M., bensì, comportando un vulnus al diritto di difesa dell’imputato, deve essere ritenuta come nullità a regime intermedio (di cui all’art. 178, lett. c), prima parte, c.p.p.). Ne deriva, da un lato, che è onere della parte eccepire tale nullità nei termini di cui all’art. 182, co. 2, c.p.p. qualora poi voglia farne oggetto di impugnazione; dall’altro che l’invalidità, qualora non eccepita, viene sanata.  (Nel caso di specie la Cassazione rigettava il ricorso dell’imputato il quale, pur non essendosi opposto nel corso del giudizio di merito, ne voleva far valere l’invalidità ex art. 441, c.p.p. in sede di impugnazione)

Il commento

Il G.U.P. del Tribunale di Bari, in esito a giudizio abbreviato, condannò D. M. e D. F. alla pena di giustizia ritenendoli responsabili del delitto di estorsione aggravata concesse le attenuanti generiche equivalenti all’aggravante.
Avverso la sentenza entrambi proposero appello, ma la corte distrettuale confermò quanto statuito in primo grado.
Ricorse per Cassazione il solo difensore del D. M. deducendo, in particolare, la violazione degli artt. 628, co. 3, n. 1 c.p. e 441 c.p.p., perchè l’imputato sarebbe stato condannato per il delitto di estorsione aggravata dalla circostanza delle “più persone riunite”, sebbene questa non fosse stata contestata con il provvedimento conclusivo delle indagini preliminari, ma solo nel corso del giudizio abbreviato non condizionato.
La Suprema Corte, dopo aver risolto le altre questioni giuridiche prospettategli dalla difesa ricorrente (tra i quali ribadisce il consolidato principio per il quale in tema di estorsione il delitto deve considerarsi consumato allorchè il soggetto passivo consegni la cosa all’estorsore, a nulla rilevando il fatto che fosse predisposto l’intervento della polizia giudiziaria che provveda immediatamente all’arresto ed alla restituzione della res), affronta due problematiche profondamente intersecate tra loro:
1) se sia applicabile o meno il disposto dell’art 423 c.p. nel giudizio abbreviato “secco” (e, quindi, se sia valida la sentenza che decida sulle contestazioni suppletive illegittimamente proposte dall’accusa);
2) a che categoria di nullità sarebbe da ascrivere la sentenza, qualora, si ritenga viziata.

Alla prima questio i Giudici di Piazza Cavour, aderendo ad un consolidato orientamento per il quale, nel giudizio abbreviato non subordinato ad integrazione probatoria non è applicabile l’art. 423 c.p.p. (cfr. ex multiis Cass. 1311 del 19.01.2010; Cass. 35624 del del 11.07.2007), rispondono negativamente.
In effetti, proprio il testo dell’art. 441, co. 1, c.p.p. prescrive, claris verbis, che nel giudizio abbreviato si applicano le disposizioni per l’udienza preliminare, fatta eccezione per quelle di cui agli artt. 422 e 423 c.p.p.. Pertanto, essendo chiaramente esposto dalla norma, il problema sembra non troppo difficilmente risolvibile in tal senso. L’art. 12 delle preleggi, infatti, prescrive che “nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore”. La menzionata norma spiega non solo il modo in cui interpretare la legge, ma anche subordina tutti gli altri canoni ermeneutici a quello letterale in ossequio al principio espresso dal brocardo in claris non fit interpretatio.
Ne deriva che, essendo chiaramente precisato che non si applica al giudizio abbreviato la disposizione concernente la modifica dell’imputazione, occorrerebbe un’ulteriore e specifica deroga affinché si possa attribuire alla norma un significato diverso da quello che risulta dalla mera lettura della stessa.
Una simile deroga viene, invece, stabilita quando il giudizio abbreviato viene subordinato all’acquisizione di nuove prove o a richiesta della parte (art. 438, co. 5, c.p.p.) o iussu iudicis (art. 441, co. 5, c.p.p.).

La seconda questio, di contro, non trova le radici della sua soluzione nell’argormento letterale (almeno non solo), ma – soprattutto – nell’argomentazione teleologica. Infatti, seppure vengono “toccate” disposizioni che “lambiscono” i compiti del P.M., queste, in realtà non inficiano la sua iniziativa nell’esercizio dell’azione; anzi, nel caso prospettato, l’inquirente agiva ben oltre le sue possibilità. Il disposto della prima parte della lett. b) dell’art. 178 c.p.p., infatti, è volto a fornire un forte nucleo di protezione all’esercizio dell’azione penale da parte del P.M., cercando di evitare che il Giudice proceda d’ufficio (ne procedat iudex ex officio), ma non al totale rispetto delle regole processuali da parte della Pubblica accusa.
Al contrario, la violazione dell’art. 441 c.p.p. comporta una lesione al diritto di difesa dell’imputato, che rientra nel disposto della lett. c) del menzionato art. 178 c.p.p., il quale comporta una nullità intermedia di ordine generale, sanabile ai sensi dell’art. 182, co. 2 ,c .p.p..

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