I fondi neri dell’Atac di Roma, almeno 70 milioni di euro all’anno grazie alla truffa dei biglietti clonati, sono stati la sorgente di una cascata di soldi che si è riversata sulla politica e sulle imprese della Capitale, attraverso, secondo quanto scrivono Daniele Autieri e Carlo Bonini su Repubblica.
In ballo ci sono 16 mila fatture “strane” per un totale di 156.662.000 euro:
“Alla fine del 2011, i tre componenti del collegio dei sindaci, Costantino Lauria, Renato Castaldo ed Emiliano Clementi, nella loro revisione della contabilità aziendale, inciampano in 16mila fatture pagate dalla azienda, molte delle quali di dubbia autenticità, e in una voce passiva del bilancio classificata “fatture da ricevere” pari a 156 milioni 662mila euro. Che la “posta” abbia per le sue dimensioni qualcosa di opaco appare di immediata evidenza e dunque il collegio sindacale avvia un’operazione che battezza “pulizia contabile” con cui decide di analizzare nel dettaglio i pagamenti fatti da Atac ai diversi fornitori prima del 2011. I risultati dell’indagine arrivano solo nella primavera scorsa e sono devastanti. Quella voce“fatture da ricevere” copre infatti una catena di falsi macroscopici”.
Come funzionava il sistema? Lo racconta una fonte interna
“«La “fattura da ricevere” si iscrive a bilancio quando un’azienda sa che dovrà pagare un bene o un servizio ottenuto da un fornitore, ad esempio il gasolio per gli automezzi, ma non ha ancora ricevuto la fattura per disporre il pagamento. L’azienda, a quel punto, rimanda all’esercizio finanziario successivo la chiusura della partita contabile. Ebbene, era del tutto inverosimile che, alla fine del 2011, Atac avesse accumulato fatture ancora da ricevere per 156 milioni di euro. Non fosse altro per una ragione: quali fornitori al mondo omettono di esigere tempestivamente un pagamento da una società pubblica, sapendo per altro i tempi normalmente lunghi del saldo? La verità era che quella voce di bilancio non avrebbe dovuto superare i 10 milioni, vale a dire le fatture per prestazioni e forniture dell’ultimo segmento del trimestre contabile. Altro che 156 milioni. Dunque, quel numero non rispondeva a verità»”.
Quei 156 milioni sono troppi, e così è stato scoperto il sistema dei fondi neri:
“non è frutto di un errore materiale (tre zeri che diventano sei), ma la spia di un Sistema necessario a creare e distribuire fondi neri. Che funziona così. «La cifra delle fatture da ricevere viene gonfiata e rinviata all’esercizio finanziario successivo — spiega un’altra fonte aziendale direttamente coinvolta nell’indagine interna — perché con il nuovo anno contabile si materializzano improvvisamente tra i creditori dell’azienda coloro che creditori non lo sono. In altre parole, analizzando quelle 16mila fatture che pesavano sull’esercizio finanziario del 2011 ed erano state trascinate in quello del 2012, scopriamo che molte erano false o chiaramente manipolate. Scopriamo, insomma, che, al momento di essere pagate, quelle fatture erano state intestate a nomi nuovi o comunque diversi da quelli degli apparenti creditori. Magari un’impresa amica. E magari un’impresa vicina alla politica, che dunque incassava senza aver assicurato alcuna prestazione o fornitura per Atac». «Purtroppo — conclude la fonte — si trattava di 16 mila fatture, ed era oggettivamente impossibile controllarle una per una». Nel 2012 — come si legge nella relazione al bilancio del collegio sindacale — la società di consulenza Price Waterhouse&Cooper è stata dunque incaricata di una due diligence contabile «assolutamente indispensabile» per individuare «fatture da ricevere non supportate da documenti certi». Detta senza eufemismi, per individuare i fondi neri di Atac, il loro ammontare, i loro destinatari”.
Sulla strada dei revisori contabili si è messo di traverso uno strano incendio:
“Un lavoro due volte complicato. Perché, con singolare coincidenza di tempi, proprio mentre il collegio dei sindaci mangia la foglia, un immane rogo riduce in cenere l’intera memoria cartacea di Atac. Il 4 novembre 2011, infatti, una scintilla accende il “magazzino sicurizzato” dell’Azienda gestito dalla “Iron Mountain” (colosso americano tra i leader mondiali nello stoccaggio dei documenti) in cui sono custoditi contratti, documenti, note, fatture degli appalti di Atac spa (e delle tre aziende che le preesistevano prima della fusione, Atac, Trambus e Metro). In un solo giorno va in fumo anche solo la possibilità di mettere il naso in appalti e forniture dalle evidenti anomalie. Uno per tutti: la manutenzione della “Freccia del Mare”, l’incubo su rotaia di chi pendola tra Ostia e Roma.
L’8 aprile del 2008 la società Officine Grandi Revisioni (Ogr), costola di Met. Ro. e di Atac per la manutenzione dei veicoli, trasmette al top management delle due aziende una ricerca di mercato dedicata ai pezzi di ricambio acquistati per le Frecce del Mare. Il confronto è sui “vetri porte”. A fronte dei due ordini approvati da Met. Ro. il 20 agosto e l’11 novembre 2008 alle ditte Angeloni srl e Vapor Europe srl, che prevedono un costo a pezzo di 98 euro per la prima e 128,52 per la seconda, le offerte pervenute dalle altre aziende contattate sono in media dieci volte più basse, e si aggirano tra i 6,48 e i 13,60 euro a pezzo. Una disparità enorme, certificata nei documenti andati al rogo”.