Depositata lo scorso 19 dicembre la pronuncia numero 51488 della sesta sezione penale in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare.
In particolare, è stato affermato che, per la sussistenza dell’ipotesi delittuosa di cui all’articolo 570, prima comma, cod. pen., non rilevano i comportamenti omissivi contrassegnati da minimo disvalore o da mere disfunzioni dei rapporti intra-familiari, ma soltanto le condotte che, attraverso la sostanziale dismissione delle funzioni genitoriali, pongano seriamente in pericolo il pieno ed equilibrato sviluppo della personalità del minore.
Ricordiamo che, ai sensi dell’art. 570 c. 1 c. p., chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla potestà dei genitori o alla qualità di coniuge, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 103 a euro 1.032.
Nel caso di specie è stata confermata la responsabilità di un genitore che, attraverso condotte persistenti di aperto rifiuto e totale disinteresse per il minore, aveva determinato il pericolo di indurre nello stesso sentimenti di colpa, di abbandono e di scarsa autostima, anche in ragione della sofferenza derivante dal confronto con i coetanei inseriti in contesti di stabili relazioni familiari o comunque in grado di rapportarsi continuativamente con la figura del padre.
Bene ha fatto – osservano i giudici – la Corte di Appello ad escludere l’assunto, ipotizzato dal ricorrente, che fa dipendere la configurabilità del reato in questione da una inafferrabile “soglia di sensibilità” e conseguente disagio del minore, le cui esigenze di protezione – proprio perché soggetto debole – devono essere comunque efficacemente garantite nell’ambito di una reciproca condivisione degli obblighi di solidarietà familiare, anche al di là di quelle che possono essere le sue limitate percezioni soggettive nella iniziale fase di formazione e sviluppo della personalità.