E’ stata depositata il 18 dicembre scorso la pronuncia numero 51166 della quinta sezione penale in tema di reati contro la fede pubblica.
I giudici, in particolare, hanno affermato che la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà priva di una delle molteplici sottoscrizioni degli apparenti dichiaranti non integra la fattispecie del falso innocuo o grossolano, posto che la mancanza di una firma, pur incidendo sulla completezza strutturale dell’atto, non lo rende inidoneo al raggiungimento dello scopo e non elimina il pericolo di lesione dell’interesse protetto dalla norma.
La Corte, dopo aver riepilogato la differenza tra falso grossolano e falso innocuo (il primo si ha quando la contraffazione è talmente maldestra ed evidente da impedire che chiunque possa essere tratto in inganno; il secondo quando la contraffazione, pur non immediatamente percepibile come tale, è comunque irrilevante ai fini della funzionalità dell’atto, nel senso che sarebbe produttivo di effetti anche senza la parte contraffatta) osserva come – in virtù del principio di offensività – debba considerarsi giuridicamente irrilevante quel falso che non può ledere o mettere in pericolo interessi specifici che trovano la propria tutela nei reati contro la fede pubblica.
Nel caso in esame – si osserva – non si rientra, tuttavia, nelle suddette catalogazioni. La mancanza di una sottoscrizione avrebbe potuto proprio influire sulla efficacia dell’atto rendendolo incompleto: si trattava, cioè, di un elemento necessario, che nel caso di specie mancava.
Si specifica anche che, mentre la mancanza assoluta di tutte le sottoscrizioni avrebbe reso l’atto innocuo – in quanto evidentemente privo dei requisiti minimi essenziali di validità – la semplice mancanza di una tra le molte sottoscrizioni poteva sfuggire all’ufficio ricevente rendendo l’atto potenzialmente lesivo dell’interesse protetto. Ne consegue che non può essere invocata la figura del falso innocuo.