20 Aprile 2024, sabato
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Nuovo tassello contro la crisi dell’eurozona

Sia pure in sordina, e nella disattenzione dei media impegnati a commentare il completamento dell’Unione bancaria, il Consiglio europeo ha messo in cantiere un altro tassello della riforma della “governance” economica europea, definendo i principi ispiratori dei cosiddetti partenariati o contratti per la crescita.

Si tratta di uno strumento dai contorni ancora non ben definiti che dovrebbe migliorare/rafforzare il coordinamento delle politiche economiche nazionali, con l’obiettivo di stimolare competitività e ridurre rischi futuri di squilibri macro-economici eccessivi fra i paesi dell’eurozona.

Coordinamento necessario
L’idea ha preso forma al Consiglio del 19 e 20 dicembre, ma era stata evocata per la prima volta nel rapporto dei quattro presidenti sulla riforma dell’unione economica e monetaria. Era stata poi accantonata in attesa delle elezioni tedesche, aspettando che maturassero le condizioni politiche per un accordo almeno di principio.

Era stata più di recente rilanciata dalla cancelliera tedesca che non ha mai fatto mistero di considerare proprio gli squilibri eccessivi e i differenziali di competitività (fra paesi appartenenti alla stessa unione monetaria) fra le cause più importanti della crisi che ha investito l’eurozona.

Da qui l’idea di strumenti di coordinamento delle politiche economiche nazionali più efficaci di quelli disponibili attualmente (rivelatisi per ora assai poco incisivi), e in grado potenzialmente di “costringere” i membri dell’eurozona a fare le riforme necessarie.

Contratto
L’idea del “contratto” (espressione mutuata dal diritto privato e quindi assai infelice se utilizzata per definire un sinallagma tra stati membri e Commissione) nasce dall’esigenza di assicurare agli stati membri un maggiore coinvolgimento (ownership) nell’individuazione e definizione delle riforme da adottare, e alla Commissione/Consiglio un ruolo più incisivo nella fase di “enforcement” degli impegni assunti dagli stati membri.

Si tratta quindi di uno sviluppo della procedura di coordinamento delle politiche economiche sviluppata nel semestre europeo (concretizzatasi finora con le Raccomandazioni indirizzate annualmente dalla Commissione e dal Consiglio ai singoli Paesi membri dell’Unione), nella direzione di un processo più strutturato, più vincolante, maggiormente in grado di coinvolgere governi e parlamenti nazionali, e possibilmente dotato di incentivi.

Con i contratti o partenariati si tenta di introdurre un principio di cogenza e obbligatorietà a forme di coordinamento che finora sono state unicamente affidate strumenti soft (“moral suasion”, “peer pressure” o in alcuni casi “name and shame”).

Resistenze
Appare evidente quanto potenzialmente divisiva è apparsa l’idea fin dall’inizio e quanto forti siano state le resistenze nei confronti di un processo che potrebbe ulteriormente limitare i residui margini di sovranità nazionale, già fortemente condizionata in materia di politiche fiscali e di bilancio.

Il Consiglio europeo ha tenuto conto delle numerose riserve e preoccupazioni e ha adottato una soluzione salomonica che: fissa alcuni principi ispiratori dei futuri contratti e indica un percorso che dovrebbe permettere di arrivare a una vera e propria decisione nell’ottobre 2014. Ciononostante, questa soluzione è vaga sulla controversa materia degli incentivi.

In sintesi è stato accolto il principio della necessità di un coordinamento più efficace delle politiche economiche nazionali da realizzare attraverso lo strumento di partenariati “basati su contratti reciprocamente accettati” fra stato membro e Commissione/Consiglio.

Questi contratti si applicheranno a tutti i membri dell’eurozona ad eccezione di quelli sottoposti a un programma di aggiustamento, ma potranno essere estesi anche a paesi non membri (su base volontaria). Avranno poi ad oggetto un ampio spettro di politiche destinate ad avere un impatto su crescita e occupazione (funzionamento del mercato del lavoro e dei prodotti, ma anche istruzione innovazione, ricerca e efficienza della pubblica amministrazione) e saranno in linea di principio “politicamente vincolanti”. Diventeranno “legalmente vincolanti” quando associati a meccanismi di solidarietà.

Incentivi
La parte relativa agli incentivi, o meccanismi di solidarietà, da mettere a disposizione di quei paesi che faranno le riforme concordate nei contratti è l’elemento più debole delle conclusioni del Consiglio europeo. Le indicazioni, effettivamente molto scarne e comunque più caratterizzate da limiti e divieti che da raccomandazioni sul da farsi, lasciano intendere che gli incentivi sarebbero di natura finanziaria.

È tutt’altro che chiaro però da quale voce del già striminzito bilancio dell’Ue si dovrebbero ricavare le relative risorse, anche perché è esplicitamente esclusa ogni ipotesi di revisione (verso l’alto) dei tetti di spesa faticosamente definiti nell’accordo di pochi mesi fa sul quadro finanziario multiannuale per il periodo 2014-2020.

Le caratteristiche del contratto, l’individuazione delle politiche cui si applicherebbero e soprattutto la definizione dei meccanismi di solidarietà saranno approfonditi nei prossimi mesi e fino al prossimo ottobre.

Sarà quindi un lavoro che impegnerà anche la presidenza italiana. Un’ottima occasione per trasformare un ulteriore vincolo esterno in un’opportunità. Dovremmo impegnarci per ottenere alcuni risultati irrinunciabili e corrispondenti ai nostri interessi: un’effettiva estensione dei contratti a tutti i membri dell’eurozona senza eccezioni (con la possibilità di chiedere riforme strutturali anche ai paesi creditori, e magari un aggiustamento meno asimmetrico tra nord e sud dell’eurozona), un effettivo coinvolgimento di governi di parlamenti nazionali nella individuazione delle riforme da fare; meccanismi incentivanti credibili e praticabili.

Più che puntare su incentivi finanziari difficili da reperire in assenza di una autonoma e innovativa capacità fiscale dell’eurozona (ancora in divenire), occorrerebbe forse cercare di ottenere maggiore flessibilità sui tempi di rispetto degli obiettivi concordati per la riduzione di deficit e debito e magari anche sul calcolo (ai fini dei deficit e del debito) degli investimenti pubblici “virtuosi”.

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