I Fratelli Musulmani tornano nel baratro della clandestinità in cui hanno trascorso 57 dei loro 85 anni di vita. A deciderlo è una corte del Cairo che, accogliendo il ricorso del partito di sinistra Tagammu, ha ordinato la messa al bando delle loro attività, la chiusura delle sedi e la confisca dei beni esattamente come avvenuto nel 1954 per volontà dell’allora presidente Nasser.
Se gli islamisti tornano nell’ombra, i militari continuano ad agire alla luce del sole, influenzando la transizione in atto e garantendosi gli storici privilegi di cui godono.
Per la maggior parte degli egiziani, la pensione è un momento di riposo che si trascorre facendo attenzione a non spendere tutti i risparmi accumulati. Ma i militari non sono mai stati come tutti i normali egiziani.
Dopo il congedo, un alto ufficiale dell’esercito può diventare governatore di una provincia, dirigente di una grande compagnia petrolifera o boss di una società di proprietà dello stato. Il numero di militari in pensione ai vertici di cariche statali, porta Zainab Abu al-Magd a definire l’Egitto una repubblica di generali in pensione.
Nessun libero mercato
Storicamente, il dominio militare sui civili è iniziato negli anni ’60 sotto il regime socialista di Gamal Abdel Nasser. Anche se negli anni ’70, dopo la sconfitta con Israele, Anwar Sadat cercò di marginalizzare l’esercito dal governo, nell’epoca di Mubarak i generali sono tornati rapidamente ad occupare le posizioni di punta.
In questi decenni, le liberalizzazioni economiche subiscono un’accelerazione e l’attività imprenditoriale dell’esercito rischia di entrare in competizione con una certa élite imprenditoriale. Per assicurarsi che le imprese delle Forze Armate rimangano comunque le favorite, Gamal, delfino ideale del dittatore, le trasforma in holding. Tutte le aziende pubbliche attive in un settore specifico vengono poi raccolte sotto un unico ombrello. A reggerlo, all’epoca come ora, ci sono le mani dell’esercito.
Tanto Mubarak che i militari non hanno mai creduto sinceramente in un’economia di libero mercato. A confermarlo è anche un wikileak del 2008. Secondo quanto riporta l’ambasciatore americano in Egitto, il general Hossam Tantawi, capo delle forze armate che ha guidato l’Egitto nel primo periodo del post-Mubarak, è esplicitamente contrario a una liberalizzazione che riduca il controllo statale sull’economia.
Impero militare
L’esercito egiziano ha un grande segreto: possiede almeno 35 fabbriche e aziende che si rifiuta di privatizzare. Il listino dei prodotti a marchio militare è costituito soprattutto da beni di uso civile che hanno poco a che fare con l’attività di difesa. Un mercato ambivalente che, solo per citare qualche esempio, produce il marchio di pasta Queen, l’acqua minerale Safi e gestisce le pompe di benzina Wataniya.
Dalle stanze del ministero della produzione militare, i generali si servono di due organismi per gestire il loro business: l’Organizzazione araba per l’industrializzazione – che si occupa di equipaggiamenti militari – e l’Organizzazione nazionale dei prodotti di servizio – che si concentra sui beni di prima necessità.
Inoltre, l’attività imprenditoriale militare comprende la vendita e l’acquisto di beni immobili per conto del governo, la gestione di imprese di pulizia, stazioni di servizio, mense e anche resort di lusso sul Mar Rosso.
A questo si somma il controllo su grandi quantità di terreni, grazie a una legge che permette ai militari di accaparrarsi ogni terreno pubblico con lo scopo di “difendere la nazione”. Poco importa se alla fine questi appezzamenti finiscono per essere usati per investimenti commerciali.
Segreto di stato
Le attività imprenditoriali dei militari restano uno dei tabù principali della politica egiziana. L’esercito nasconde le informazioni sulle sue attività commerciali che, secondo analisti, rappresentano circa il 25%-40% dell’economia nazionale. I pochi studi disponibili si basano quindi su informazioni pubbliche rivelate dai mezzi di informazione delle aziende di proprietà dell’esercito.
Sul bilancio militare vige infatti un segreto assoluto.
Anche se una parte si riferisce a materiale militare classificato attinente ad attività di difesa, la maggior parte delle voci in questione riguardano i profitti dell’esercito maturati dalla produzione di beni e di servizi non militari.
Anche la Costituzione islamista entrata in vigore nel 2012 garantisce questa segretezza, escludendo il Parlamento da qualsiasi controllo sul budget militare. La Costituzione, attualmente sotto revisione, preserva gli interessi economici, giuridici e finanziari di cui i militari hanno sempre goduto. Impossibile pensare che ora vengano toccati.
Assicurarsi i propri interessi è stato uno dei motivi che ha spinto i militari ad appoggiare gli islamisti almeno fino al termine del processo costituzionale. In cambio del sostegno militare, la Fratellanza ha garantito alle forze armate, mettendolo per iscritto, tutti i privilegi di cui godeva già nel vecchio regime.
Dalla caduta di Mubarak lo status dei generali è addirittura migliorato. Nel febbraio 2011, cinque giorni dopo la caduta di Mubarak, il Consiglio supremo delle forze armate modifica la legge 90 del ‘75 che regolava il sistema pensionistico militare. Il risultato è un immediato innalzamento del 15% delle pensioni dei generali, ora circa sui 500 dollari mensili.
Ma mentre i militari guadagnano, gli operai delle loro fabbriche si ribellano. Nello stesso mese, duemila lavoratori nel settore petrolifero si sono lamentati delle loro condizioni lavorative e a marzo, operai di compagnie come Petrojet e Petrotrade hanno manifestato in strada, scatenando la risposta violenta dell’esercito che li ha condotti davanti a tribunali militari.
La mancanza di trasparenza nelle casse dell’esercito potrebbe andare avanti per anni. Le trattative con il Fondo monetario internazionale per un prestito di 4,8 miliardi di dollari mirano anche a incoraggiare gli investimenti di cui l’economia egiziane ha estremamente bisogno. Questi necessitano però di un’economia aperta e trasparente, nella quale tutte le imprese sono ugualmente responsabili ai sensi delle leggi statali.
Per proteggere i loro interessi, i militari non sembrano interessati a garantire questa trasparenza. A rimetterci, ancora una volta, i cittadini.