14 Dicembre 2024, sabato
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Con l’assegno divorzile spetta anche una quota del Tfr

 

L’art. 12 bis della legge sul divorzio stabilisce che “il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze ed in quanto sia titolare di assegno ai sensi dell’art. 5, ad una percentuale dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro all’atto della cessazione del rapporto di lavoro anche se l’indennità viene a maturare dopo la sentenza. Tale percentuale è pari al 40% dell’indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio”. Tale percentuale è pari al 40% dell’indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio”.
Ristabilire una condizione di uguaglianza 
Il legislatore con tale disposizione ha inteso eliminare gli eventuali effetti negativi e  ristabilire una condizione di uguaglianza sostanziale tra gli ex coniugi anche dopo la dissoluzione del vincolo coniugale

La disposizione prevede tre presupposti necessari affinchè sorga il diritto in capo al potenziale beneficiario. Essi sono:

– il passaggio in giudicato della sentenza di divorzio;

– il mancato passaggio a nuove nozze;

– la titolarità dell’assegno divorzile.

La dottrina prevalente tende ad attribuire alla norma una portata estensiva, fino a ricomprendervi sia il trattamento di fine rapporto che l’indennità di buona uscita del pubblico impiego; oltre che le varie liquidazioni che spettano al lavoratore, anche parasubordinato, a seguito della cessazione del lavoro.
La quota di indennità di fine rapporto da destinarsi al coniuge più debole può essere intesa come una parte di retribuzione destinata al sostentamento nel nucleo familiare durante la convivenza dei coniugi, percepita in forma differita.
La morte del coniuge ed i soggetti obbligati
Nel caso in cui si verifichi il decesso del coniuge obbligato nelle more fra la cessazione del rapporto di lavoro e la effettiva corresponsione, assistiamo alla sostituzione del soggetto obbligato: non più il coniuge defunto ma gli eredi dello stesso.

Se invece il rapporto di lavoro si estingue proprio per la morte del lavoratore – coniuge divorziato, viene ad instaurarsi un conflitto tra l’art. 12 bis esaminato e l’art. 2122 c.c. che indica una diversa distribuzione delle somme a più soggetti titolari.

La quantificazione della quota di indennità di fine rapporto è basata su un calcolo matematico, le cui poste sono rappresentate dalla durata del matrimonio, dalla durata del rapporto di lavoro e dalla loro coincidenza.

La norma, come detto, fonda la sua ragione d’essere nella solidarietà a favore del coniuge più debole economicamente che ha contribuito all’incremento del patrimonio familiare ed il cui apporto anche dopo lo scioglimento del matrimonio deve trovare adeguata remunerazione, seppure percepita in forma differita.
Un credito che sorge in via progressiva
A giudizio dello scrivente si tratta di un diritto di credito che sorge in via progressiva durante il rapporto matrimoniale la cui esigibilità è differita ad un periodo successivo all’eventuale divorzio e sottoposto alla condizione sospensiva dell’esistenza dei presupposti per il percepimento dell’assegno divorzile.

In ossequio al principio solidaristico che lega i coniugi e che non si esaurisce  in toto con il divorzio la norma tende a valorizzare il contributo  che il coniuge  più debole normalmente continua a fornire durante il periodo di separazione, soprattutto nel caso in cui sia affidatario di figli minori, e nel contempo ancorando il periodo di riferimento ad un dato giuridicamente certo ed irreversibile, quale la durata del matrimonio.
Quando matura il diritto
Il diritto del coniuge più debole a percepire una quota del trattamento di fine rapporto lavorativo percepito dall’altro coniuge, può essere attribuito con lo stesso provvedimento determinativo dell’assegno di divorzio, visto che, se il diritto alla quota permane anche se l’indennità viene a maturare dopo la sentenza di divorzio, secondo il tenore letterale della norma, tale diritto deve conseguentemente riconoscersi pure nel caso in cui l’indennità sia maturata prima di detta sentenza, quando ovviamente al coniuge non è stato ancora attribuito in modo definitivo (con sentenza passata in giudicato) l’assegno divorzile.
Il diritto alla quota sorge solo se il trattamento spettante all’altro coniuge sia maturato successivamente alla proposizione della domanda introduttiva del giudizio di divorzio, e quindi anche prima della sentenza di divorzio, e non anche se esso sia maturato e sia stato percepito in data anteriore, come in pendenza del giudizio di separazione potendo in tal caso la riscossione della indennità incidere solo sulla situazione economica del coniuge tenuto a corrispondere l’assegno ovvero legittimare una modifica delle condizioni stabilite in separazione e/o divorzio (Cass. Civ. 29 settembre 2005, n. 19046).
Anticipo sul Tfr
È bene ricordare che per la Cassazione, il coniuge titolare dell’assegno di divorzio non ha diritto a conseguire una quota dell’anticipo del trattamento di fine rapporto (lavorativo) spettante all’altro coniuge, quando il coniuge obbligato al versamento dell’assegno abbia percepito un anticipo sull’indennità prima di tale data: l’anticipo predetto, invero, previsto dall’art. 2120 c.c., una volta che sia stato accordato dal datore di lavoro e sia stato riscosso dal lavoratore, entra nel suo patrimonio e non può essere revocato, determinando la definitiva acquisizione del relativo diritto.

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