Il prezzo rappresenta un elemento fondamentale per comunicare il valore del proprio prodotto e distogliere l’attenzione da sconti e promozioni indifferenziate che invece lo spingono verso la commoditizzazione, ossia un livellamento dei prodotti con una riduzione delle differenze che li caratterizzano. Quando ci si trova di fronte all’arduo compito di dover definire il prezzo, nella prassi aziendale prevalgono tre principali metodi. Eccone la sintesi.
Come si decidono i prezzi in azienda
Il primo e più diffuso è quello del cost plus, che parte dal presupposto che alla base di ogni formazione di prezzo vi sia una politica fondata sulla copertura dei costi aziendali. Una volta determinata la base di costo, si aggiunge il margine desiderato e si ottiene il prezzo. Il vantaggio è che, dati i costi, il calcolo è semplice. Così, tuttavia, ogni diminuzione dei costi corrisponde anche a un adeguamento dei prezzi, che però non migliora il margine operativo lordo, in quanto il vantaggio di costo passa automaticamente al cliente. Inoltre non è detto che il prezzo che ne deriva sia quello che il cliente è disposto a pagare. Altro approccio è quello basato sul pricing della concorrenza: si verifica il prezzo richiesto dai concorrenti, ad esempio del leader di mercato, e in base al proprio posizionamento si imposta il prezzo. Se si è un follwer, si sceglierà per esempio un prezzo più basso del leader di una certa percentuale. Anche questo metodo è semplice, quando i prezzi dei concorrenti sono noti, ma non è detto che il leader abbia scelto il prezzo ottimale, che i prodotti siano paragonabili e tanto meno che il cliente sia disposto a pagare questo prezzo. Inoltre non è di alcun aiuto, quando si propone al mercato un prodotto innovativo e che pertanto non ha termini di riferimento sul mercato. L’approccio più sensato è un terzo: il value pricing.
Gli effetti del value pricing
Orica, leader nel settore degli esplosivi commerciali, si è trovata in difficoltà quando imprese concorrenti cinesi hanno iniziato a offrire esplosivi commerciali a prezzi molto inferiori. Si era così, dall’oggi al domani, manifestato il rischio della commoditizzazione dei prodotti offerti: sebbene la qualità, ossia la capacità di frammentare la roccia in piccole parti, fosse molto inferiore rispetto a Orica, i clienti paragonavano semplicemente i prezzi di singoli candelotti esplosivi e a fronte di un prezzo per candelotto molto inferiore, optavano per quelli cinesi. Il salvataggio di Orica in questa spirale di prezzi verso il basso è stata possibile grazie al value pricing. La nuova struttura di prezzo introdotta ha infatti eliminato il prezzo per candelotto. Il nuovo pricing prevedeva che il cliente pagasse in base al risultato e, quindi, in base al valore ottenuto, in questo caso, dalla frammentazione della roccia, anziché dalla quantità di esplosivo impiegato, ossia dei singoli candelotti. Ciò ha permesso ad Orica di riguadagnare il dominio del mercato, in quanto i suoi prodotti permettono ai suoi clienti di far esplodere in maniera granulare la roccia che così può essere velocemente rimossa. Nel caso dei prodotti cinesi l’esplosione provocava grossi frantumi di roccia, più lenti e onerosi da rimuovere. Senza un pricing orientato al valore, Orica avrebbe probabilmente perso la maggior parte dei suoi clienti. Nel settore dei motori aeronautici General Electric ha modificato il pricing conformandoli al criterio della potenza oraria: i clienti, in questo caso le compagnie aeree, non pagano quindi un prezzo per acquistare il motore aeronautico, ma pagano in base alle ore di volo che il motore garantisce, in quanto il valore per loro sono le ore di effettivo volo. Se il motore deve essere manutenuto spesso o si guasta di continuo, l’aereo non vola: ecco perché pagare per la potenza oraria permette di cogliere il pieno valore.
Cosa fa la differenza
Tutte queste aziende hanno capito che un pricing basato sul numero di unità vendute non serve a differenziarle rispetto ai concorrenti. Al contrario favorisce il confronto, in quanto stabilisce un semplice denominatore comune che permette ai clienti di fare paragoni. Al contrario, se questi ultimi capiscono che il costo da sostenere è proporzionato al valore finale, ciò li spingerà a ripensare le loro preferenze in relazione a quel valore, oltre a mandare un forte messaggio di garanzia del prodotto. Viene evitato così, per i venditori, il rischio della commodity. Ma come si muovono le aziende italiane ed estere sul fronte value pricing in un contesto economico non facile come quello attuale? Per trovare una risposta a questa domanda e capire quali azioni si stanno preparando per affrontare il periodo post crisi, Simon-Kucher & Partners, in collaborazione con le principali business school europee, ha condotto di recente uno studio globale, la “Global Pricing Study”, a cui hanno partecipato migliaia di manager di tutti i settori industriali. L’Italia rientra perfettamente nella media internazionale con l’81% di aziende che subiscono forti pressioni sui prezzi e circa il 70% è coinvolto in guerre di prezzo. Lo studio dimostra che le aziende in cui il top management assume un ruolo attivo nella determinazione dei prezzi hanno il 35% di probabilità in più di avere un alto pricing power e il 30% in più di ottenere una crescita Ebitda nel corso dei prossimi tre anni. Il pricing power è la capacità di un’azienda di ottenere i prezzi che si merita per un dato valore offerto al cliente. In questo, le aziende italiane hanno ancora da imparare rispetto ai concorrenti globali, infatti, tant’è che le aziende nazionali che vantano nell’organizzazione un pricing manager sono molto meno rispetto a quelle estere.