Il Tar del Lazio ritorna sui requisiti morali per l’accesso al pubblico impiego, affermando che se il bando di concorso limita la valutazione dei requisiti a pochi e precisi elementi, l’amministrazione non può invocare integrazioni postume della lex specialis per garantire una maggiore tutela all’immagine pubblica dell’amministrazione.
I rischi di corruzione nella pubblica amministrazione sono sempre in agguato. Per questa ragione la prevenzione pare un rimedio più opportuno, oltre che sicuramente più efficace, rispetto alla cura successiva ad un evento e ad un danno già verificatosi. Occorrono pertanto previsioni chiare e precise, che non lascino spazio a rischi di corruzione che espongano le amministrazioni a danni di un’immagine, già ben lontana dall’utopistica casa di vetro.
In una recente sentenza in tema di esclusione da concorsi pubblici, la n. 6490 del 1° luglio 2013, il Tar del Lazio ha evidenziato come le previsioni del bando, di stretta interpretazione, possano lasciar ben poco spazio alla discrezionalità amministrativa nella valutazione dei requisiti per la selezione dei propri funzionari.
La vicenda riguarda l’Agenzia delle Entrate e il concorso, da questa bandito, per l’assunzione a tempo indeterminato di 220 unità per il profilo professionale di assistente per attività amministrativo-tributaria. La lex specialis espressamente prevede, tra i requisiti di ammissione, il “non avere procedimenti penali in corso che impediscano, ai sensi delle vigenti disposizioni in materia, la costituzione del rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione”. Ebbene l’Agenzia fiscale ha escluso dalla procedura competitiva un candidato che aveva già superato sia la prova attitudinale, sia la prova orale.
Tra gli (insufficienti, sebbene condivisibili) argomenti forniti dall’amministrazione vi è la necessità di requisiti morali di condotta ineccepibili, non riscontrabili nel candidato escluso, a carico del quale risultano pendenti due procedimenti penali per truffa e falsità in scrittura privata e per associazione a delinquere. Secondo l’Agenzia delle Entrate “la gravità dei fatti contestati e la circostanza che si tratti di più capi di imputazione relativi a diversi procedimenti penali, nonché la delicatezza dei compiti affidati ai dipendenti dell’Agenzia e la connessa necessità di preservarne l’immagine pubblica non consentono l’assunzione di personale la cui situazione soggettiva non appaia compatibile con le esigenze istituzionali dell’Amministrazione”.
Al fine di supportare l’esigenza di salvaguardare l’immagine e il corretto svolgimento del compito istituzionale affidatole, l’Agenzia fiscale integra, nella motivazione del provvedimento di esclusione del candidato, la disciplina del bando di concorso con una norma del regolamento sull’accesso agli impieghi nella PA (art. 2, comma 5, del Dpr n. 487/1994). Ai sensi della norma richiamata, il requisito della condotta e delle qualità morali stabilito per l’ammissione ai concorsi nella magistratura viene richiesto per le assunzioni, comprese quelle obbligatorie delle categorie protette, presso la presidenza del Consiglio dei ministri e le amministrazioni che esercitano competenze istituzionali in materia di difesa e sicurezza dello Stato, di polizia e di giustizia. Solo in fase giudiziale la difesa erariale puntualizzerà, sebbene con i limiti che si vedranno nel prosieguo, che l’Agenzia delle Entrate rientra tra le amministrazioni che esercitano competenze istituzionali in materia di polizia e di giustizia, in quanto svolge attività di polizia tributaria, come le attività di accertamento e verifica fiscale.
Tale integrazione si desumerebbe, secondo l’amministrazione resistente, sia dalla previsione, di cui allo stesso bando di concorso, che prescrive l’indicazione anche dei carichi pendenti nella domanda di partecipazione al concorso, sia dal fatto che, a seguito della riforma del procedimento disciplinare (ex art. 68 del Dlgs n. 150/2009), è possibile avviare quest’ultimo anche prima della conclusione del procedimento penale, laddove emergano elementi sufficienti per irrogare una sanzione disciplinare.
Invero tali argomentazioni non sono apparse al giudice amministrativo né sufficienti né fondate.
Già con l’accoglimento della domanda cautelare, il Tar, sulla base del testo della lex specialis, non ha attribuito alcun valore alla mera pendenza di un procedimento penale, precisando che nello svolgimento della procedura concorsuale si deve far riferimento alla sola sussistenza di sentenze di condanna, sia pure non definitive. Non solo.
Il Collegio conferma la propria posizione anche in sede di merito. Preliminarmente il giudice riafferma la stretta interpretazione delle clausole dei bandi di concorso per il pubblico impiego sui requisiti di partecipazione, che dunque si sottraggono ad operazioni ermeneutiche che ne estendono la portata applicativa. Proprio sulla base di tale consolidato orientamento e in virtù del principio di presunzione di non colpevolezza dell’imputato fino a condanna definitiva ex art. 27, comma 2, Cost., “la regola generale in materia di concorsi pubblici preclude la partecipazione di coloro che siano esclusi dall’elettorato attivo politico e coloro che siano stati destituiti o dispensati dall’impiego presso una pubblica amministrazione” ex artt. 2 del Tu n. 3/1957 e 2 del Dpr n. 487/1994, “non essendo di per sé rilevante la mera pendenza di un procedimento penale, salve specifiche previsioni di singoli ordinamenti”.
Pertanto, già con il bando di concorso l’amministrazione ha vincolato le proprie valutazioni, limitandole ai soli fatti già accertati con sentenze penali di condanna ancorché non passate in giudicato o di patteggiamento.
Come si è visto l’amministrazione, per sopperire ad una lex specialis dalle maglie troppo larghe per garantire l’inattaccabilità della propria immagine pubblica, ha fatto ricorso ad un’integrazione postuma del bando con il rinvio al Dpr n. 487/1994.
Il Tar, sebbene ribadisca, anche in sede di merito, l’inapplicabilità della previsione (invocata dall’Agenzia delle Entrate) di cui all’art. 2, comma 5, del Dpr n. 487/1994, sostiene che il provvedimento impugnato sarebbe comunque illegittimo per carenza di motivazione.
Il Collegio continua affermando che conformemente all’obbligo di motivazione di cui all’art. 3 della legge sul procedimento amministrativo, l’amministrazione avrebbe dovuto non solo richiamare espressamente, già nella motivazione del provvedimento censurato, l’art. 2, comma 5, del Dpr n. 487/1994, ma anche specificare i presupposti di fatto posti a fondamento del giudizio di insussistenza del requisito della condotta incensurabile. Tali presupposti, infatti, non possono esaurirsi in un generico riferimento alla “gravità dei fatti” contestati in sede penale e alla “particolare delicatezza dei compiti affidati al dipendente dell’Agenzia”, ma implicano un giudizio sulla colpevolezza che va necessariamente e sufficientemente motivato.
Ancora il giudice censura il provvedimento sotto il profilo della motivazione in quanto il riferimento al Dpr n. 487/1994 non risulta finalizzato al concorso in questione. Più precisamente, il suddetto richiamo al regolamento per l’accesso agli impieghi della PA, sebbene errato, non risulta (comunque) giustificato adeguatamente dalla natura dell’attività, non meglio specificata, che i 220 assistenti per attività amministrativo-tributaria, di cui alla procedura in questione, saranno chiamati a svolgere, e che è stata genericamente definita di polizia tributaria da parte della difesa erariale.
Il Tribunale amministrativo, dunque, bacchetta l’Agenzia delle Entrate che in modo troppo superficiale ha disposto l’esclusione del candidato, da un lato motivando l’esclusione solo tardivamente ed in modo del tutto insufficiente, dall’altro lato con un richiamo ad una norma non applicabile all’Agenzia fiscale.
Pare il caso di sottolineare, tuttavia, che le preoccupazioni dell’Agenzia delle Entrate sono legittime e fondate su una più che condivisibile idea di salvaguardare l’immagine dell’amministrazione e tenerla lontana da corruzione, e perfino da un pericolo di corruzione. Nondimeno ciò può esprimersi in una cieca o approssimativa attività discrezionale.