Una crescita annuale del 35% nel corso degli ultimi cinque esercizi. E attivi, a fine 2012, pari a 54 miliardi di dollari, che dovrebbero raggiungere i 100 miliardi entro il 2017, secondo le stime di Standard & Poor’s. Le banche che crescono di più al mondo non sono né cinesi né indiane. Sono quelle islamiche del Qatar, il terzo polo bancario del Golfo, dopo Arabia Saudita ed Emirati arabi uniti. Istituti di credito che rispettano i principi della Sharia, la legge islamica. La condivisione dei rischi e dei profitti tra creditore e debitore; l’obbligo di appoggiare tutte le transazioni finanziarie su un attivo reale, fatto che in teoria esclude il ricorso a prodotti derivati. Insomma, nella finanza islamica non si possono fare soldi dai soldi. Il denaro per crescere deve essere investito in attività concrete e produttive. All’origine del boom delle banche del Qatar c’è però un altro elemento, che si chiama National Vision 2030: si tratta del piano di sviluppo a lungo termine lanciato nel 2008 per diversificare l’economia dell’emirato, troppo dipendente dalle esportazioni di petrolio e gas. Così, tra il 2011 e il 2016 il Qatar ha previsto di spendere fra i 15 e i 18 miliardi di dollari all’anno per finanziare il suo sviluppo nella finanza, nei trasporti, nel turismo. Senza dimenticare che nel 2022 l’emirato ospiterà la Coppa del mondo di calcio, un evento per il quale ha previsto di investire l’esorbitante cifra di 200 miliardi di dollari. Il sistema bancario locale si è imposto come il principale mezzo di finanziamento di questi investimenti colossali, con la conseguenza che, dal 2006, i crediti concessi dalle banche qatariane sono cresciuti del 31% l’anno. Legittimo a questo punto chiedersi se le banche islamiche, una volta che il governo del Qatar avrà rallentato i progetti infrastrutturali, continueranno a crescere a un ritmo così rapido. Difficile crederlo. Con una popolazione di soli 2 milioni di abitanti, molti dei quali espatriati che mantengono il loro conto corrente nel paese di origine, il Qatar non è pronto a vedere il credito ai privati soppiantare quello alle imprese e agli organismi pubblici.