All’alba, nel cuore dell’Europa istituzionale, si è aperta una delle pagine più delicate degli ultimi anni. In Belgio, tra Bruxelles e Bruges, la polizia giudiziaria ha eseguito una serie di perquisizioni mirate che hanno coinvolto il Servizio per l’Azione Esterna dell’Unione Europea e il Collegio d’Europa, la storica scuola di formazione della futura classe dirigente comunitaria. Un’operazione che ha portato al sequestro di documenti e al fermo di tre persone per essere interrogate nell’ambito di un’inchiesta su un presunto uso improprio di fondi europei.
Tra i fermati figura Federica Mogherini, già Alta rappresentante dell’Unione per la politica estera e la sicurezza e attuale rettrice del Collegio. Con lei è stato fermato anche Stefano Sannino, per anni segretario generale del Servizio per l’Azione Esterna e oggi direttore generale della Direzione della Commissione europea che segue il Medio Oriente e il Nord Africa. I due sono al centro della stessa indagine che ipotizza reati di frode negli appalti pubblici, corruzione e conflitto di interessi. Le autorità belghe intendono verificare eventuali irregolarità nella gestione di progetti finanziati con fondi Ue e possibili rapporti privilegiati nella partecipazione a bandi e procedure interne.
L’operazione, condotta con riserbo fino all’ultimo, ha avuto un impatto immediato sul piano politico e mediatico. Nel giro di poche ore le prime reazioni internazionali hanno acceso ulteriormente il clima.
Da Mosca, la portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova ha colto l’occasione per attaccare frontalmente Bruxelles. Ha accusato l’Unione Europea di ignorare i propri problemi di corruzione mentre “continua a fare la predica agli altri”. Zakharova ha sostenuto che milioni di euro sarebbero finiti attraverso “canali della corruzione” verso Kiev e che la vicenda belga dimostrerebbe quanto tali meccanismi, a suo dire, siano noti e tollerati.
A Budapest, il governo ungherese non ha perso l’occasione per alimentare la polemica sullo stato di salute delle istituzioni europee. Il portavoce Zoltan Kovacs, in un commento diffuso sui social, ha definito l’indagine “un altro giorno, un altro shock”, evocando l’immagine di un’Unione che predica sullo stato di diritto mentre appare, a suo giudizio, più simile alla trama di una serie poliziesca che a una macchina amministrativa efficiente. Kovacs ha parlato di “irruzioni all’alba”, documenti sequestrati, indizi di frode e corruzione come di una sequenza che “non ti inventeresti nemmeno”.
Il fronte politico europeo attende ora gli sviluppi ufficiali dell’inchiesta belga, che nelle prossime ore dovrà chiarire i contorni delle accuse e le ragioni dei provvedimenti presi. L’onda d’urto, nel frattempo, ha già superato i confini dell’indagine giudiziaria, trasformandosi in un caso politico che rischia di incidere sulla credibilità delle istituzioni comunitarie in un momento di grande fragilità internazionale.
