Il Bonus psicologo torna al centro del dibattito pubblico con numeri che raccontano meglio di qualsiasi dichiarazione la distanza crescente tra il bisogno di supporto psicologico e la capacità dello Stato di rispondervi. Secondo i dati diffusi dall’associazione Pubblica, le domande presentate nell’ultimo anno hanno superato quota 360 mila. Un’ondata senza precedenti che riflette la sensibilità sempre più diffusa verso la salute mentale e, insieme, le difficoltà economiche che ostacolano l’accesso a un percorso terapeutico.
A fronte di questa domanda, però, le risorse stanziate hanno consentito di accogliere appena 6.300 richieste. Una proporzione schiacciante, un rapporto di circa uno a cinquanta, che fotografa il limite strutturale di un sostegno nato come misura emergenziale e rimasto, nonostante la sua evidente utilità, in una condizione di cronica precarietà finanziaria.
L’associazione Pubblica, che da mesi segue l’evoluzione della misura e ha costruito una campagna di mobilitazione nazionale, parla senza giri di parole di un sistema “incapace di garantire un diritto fondamentale”. Francesco Maesano, coordinatore della campagna “Diritto a stare bene”, ricorda che la carenza di risorse era stata anticipata già in estate. “Oggi ne abbiamo la conferma: moltissimi resteranno esclusi”, afferma, sottolineando la necessità di superare una gestione a bando che ogni anno ripropone la stessa dinamica di corse al clic e lunghe liste di attesa.
Alla base della richiesta di riforma c’è una considerazione economica prima ancora che sanitaria. Pubblica cita una stima significativa: ogni euro investito in supporto psicologico genererebbe un risparmio di undici euro per l’Inps, grazie al recupero di ore lavorative e alla riduzione dei tempi di inattività. Un indicatore che, secondo l’associazione, dimostra come il bonus non sia semplicemente un aiuto individuale, ma un investimento sociale con ricadute collettive tangibili.
Su questa linea si inserisce la proposta di legge di iniziativa popolare promossa dalla campagna “Diritto a stare bene”, che ha già raccolto oltre 60 mila firme. Il testo, che sarà depositato in Senato a metà dicembre, punta a istituire un vero e proprio servizio pubblico nazionale di psicologia. Un’infrastruttura stabile, capace di integrare i percorsi di cura, sostenere la prevenzione e offrire un accesso equo e continuativo ai cittadini. Al centro della proposta c’è la creazione di un fondo permanente per il Bonus psicologo, articolato in un sistema di finanziamento misto pubblico-privato in regime di decontribuzione. Un modello che, nelle intenzioni dei promotori, garantirebbe la copertura totale delle richieste ammissibili.
L’appello di Pubblica tocca un nodo politico e culturale che il Paese sta iniziando ad affrontare con maggiore consapevolezza: la salute mentale non può essere considerata un servizio accessorio o un lusso da permettersi nei momenti di maggiore disponibilità economica. Deve diventare parte strutturale dell’offerta sanitaria nazionale. L’associazione sottolinea la necessità di potenziare la rete dei professionisti, migliorare la continuità dei percorsi terapeutici e investire nella prevenzione, soprattutto tra adolescenti e giovani adulti, che negli ultimi anni hanno mostrato con forza il peso crescente di fragilità e disagi non intercettati.
Il messaggio è chiaro: senza un intervento radicale, il Bonus psicologo rischia di trasformarsi in un simbolo della distanza tra bisogni reali e risposte istituzionali. Per Maesano, la direzione da seguire è una sola: “L’obiettivo è che nessuno resti indietro e che il diritto al benessere psicologico diventi una realtà accessibile a tutti.” Un obiettivo che oggi appare ancora lontano, ma che la pressione sociale e politica potrebbe trasformare in un passo decisivo verso una nuova idea di sanità pubblica.
