A dieci anni dalla scomparsa del volo Malaysia Airlines MH370, la Malesia decide di riaprire una delle pagine più enigmatiche dell’aviazione civile contemporanea. Dal 30 dicembre riprenderanno le ricerche dell’aereo svanito nel 2014 con 239 persone a bordo, un enigma globale che ha alimentato indagini, ipotesi, sospetti e un dolore mai del tutto sopito per le famiglie delle vittime.
Il governo malese ha confermato che la missione sarà affidata alla società statunitense Ocean Infinity, già protagonista delle precedenti esplorazioni nelle acque dell’Oceano Indiano. L’operazione avrà una durata di 55 giorni e sarà condotta con la formula contrattuale nota come no-find, no-fee: un meccanismo che prevede il pagamento del compenso, pari a 70 milioni di dollari, solo nel caso in cui venga individuato il relitto del Boeing 777.
È un nuovo tentativo che arriva dopo anni di ricerche internazionali costellate di false piste, speculazioni e attese disattese. Dalla notte dell’8 marzo 2014, quando il volo decollato da Kuala Lumpur e diretto a Pechino scomparve dai radar deviando inspiegabilmente dalla rotta, il mistero si è ampliato anziché restringersi. Le ultime tracce, ricostruite grazie ai dati satellitari, hanno sempre indicato un possibile schianto nel settore meridionale dell’Oceano Indiano, una delle aree più remote e difficili da scandagliare del pianeta.
Le missioni precedenti, condotte da una pluralità di Paesi con l’impiego di tecnologie subacquee avanzate, non sono mai riuscite a identificare il relitto. Nel tempo sono emersi solo alcuni detriti, trascinati dalle correnti e rinvenuti lungo le coste dell’Africa orientale e dell’isola di Réunion: frammenti insufficienti a comporre la dinamica esatta del disastro.
La decisione di ripartire con le ricerche rappresenta un atto di volontà politica e umana. Per il governo malese è un impegno a chiudere un capitolo rimasto aperto troppo a lungo; per le famiglie delle vittime, una fragile speranza che potrebbe finalmente portare a una verità concreta; per la comunità internazionale, il tentativo di risolvere un caso che ha messo in luce i limiti della tecnologia di monitoraggio dei voli transoceanici.
Ocean Infinity tornerà in mare con i suoi veicoli autonomi e sistemi sonar ad alta precisione, strumenti capaci di scendere in profondità e analizzare vaste porzioni di fondale in tempi ridotti rispetto alle tecniche tradizionali. Le operazioni si concentreranno nelle aree ritenute più promettenti sulla base delle ultime analisi dei dati disponibili, nella speranza che un elemento finora sfuggito permetta di individuare il relitto.
Il destino del volo MH370 resta una ferita aperta per migliaia di persone. La decisione della Malesia restituisce alla vicenda un nuovo movimento, una possibilità di trasformare dieci anni di incertezza in un percorso verso la soluzione. A fine dicembre le navi di Ocean Infinity torneranno a solcare l’oceano che da un decennio custodisce un silenzio ancora troppo pesante. L’obiettivo è uno solo: trovare ciò che in questi anni nessuno è riuscito a vedere.

