Alla Cop30 di Bélem, nel cuore dell’Amazzonia, non è stato soltanto il clima a dominare la scena. Sul tavolo dei negoziatori è approdato un impegno intergovernativo che potrebbe ridisegnare la mappa della tutela delle foreste tropicali e dei popoli che le abitano. Brasile, Norvegia e Perù hanno presentato la prima iniziativa globale interamente dedicata al riconoscimento e al rafforzamento dei diritti territoriali di comunità indigene e gruppi locali: un’alleanza che punta a garantire sicurezza giuridica a 160 milioni di ettari entro i prossimi cinque anni, riconoscendo o consolidando la titolazione delle terre già abitate o rivendicate dalle comunità ancestrali.
Si tratta di un progetto che ambisce a colmare una delle lacune storiche nella governance ambientale: la protezione effettiva dei custodi originari delle foreste. L’obiettivo non è soltanto quello di riconoscere diritti negati o ignorati, ma di costruire una cornice collettiva che renda le popolazioni indigene interlocutori pienamente legittimati nella difesa degli ecosistemi tropicali, fondamentali per la stabilità climatica globale.
In questo scenario, il videomessaggio inviato da Papa Leone XIV alle Chiese del Sud del mondo riunite al Museo Amazzonico di Bélem ha assunto i toni di un richiamo morale e politico al tempo stesso. Rivolgendosi ai partecipanti della Cop30, il Pontefice ha ribadito che l’Accordo di Parigi rappresenta ancora lo strumento più solido nella lotta al riscaldamento globale, capace di orientare strategie nazionali e impegni comuni. Ma ha denunciato con chiarezza il vero punto debole del processo: non è il quadro normativo a vacillare, bensì la volontà politica di molti governi.
Secondo Leone XIV, il fallimento non è incorporato nell’Accordo, bensì nella risposta concreta degli Stati chiamati a darvi attuazione. E ha invitato a recuperare quello spirito di responsabilità che dovrebbe animare la leadership istituzionale. Una leadership, ha ricordato, che non si misura nelle dichiarazioni d’intenti, ma nella capacità di prendere decisioni incisive, capaci di produrre benefici tangibili per le economie, le società e l’ambiente.
Il Pontefice ha insistito su un concetto cardine: le politiche climatiche non sono un costo, ma un investimento nella stabilità, nella giustizia e nella prosperità condivisa. E ha rivolto il suo appello tanto ai governi quanto ai protagonisti dell’economia globale, invitandoli ad adottare riforme strutturali che sostengano una transizione equa e inclusiva.
Nelle sue parole ha trovato spazio anche una visione di comunità internazionale fondata sulla cooperazione. Contro la tentazione della competizione incontrollata sulle risorse naturali, Leone XIV ha ricordato che l’umanità è chiamata a un compito comune: custodire il creato, non contenderselo. Un messaggio particolarmente significativo in un vertice dedicato proprio a quelle foreste tropicali che ospitano la più vasta concentrazione di biodiversità del pianeta e che rappresentano un argine naturale al riscaldamento globale.
Chiudendo il suo intervento, il Papa ha sollecitato una mobilitazione globale che restituisca credibilità al percorso avviato con l’Accordo di Parigi. Un invito a “camminare insieme”, scienziati, leader politici, comunità religiose e cittadini, per inviare al mondo un segnale univoco: la cooperazione climatica non può più essere rimandata, né affidata a impegni formali privi di sostanza.
Così, mentre alla Cop30 prende forma un nuovo patto dedicato ai popoli indigeni e ai loro territori, il richiamo del Pontefice insiste su un punto decisivo: senza una volontà politica forte e condivisa, nessuna iniziativa, per quanto ambiziosa, potrà davvero cambiare il corso della crisi climatica.
