La lunga marcia del ponte sullo Stretto incrocia un nuovo, pesante ostacolo. La Corte dei conti non ha infatti approvato il decreto del primo agosto che regolamenta la storica convenzione del 2003 tra il ministero dei Trasporti e la società Stretto di Messina, incaricata della gestione del progetto. Un passaggio tecnico, ma tutt’altro che marginale: senza il visto di legittimità, l’atto non può essere registrato in Gazzetta Ufficiale e quindi non diventa efficace. E, soprattutto, la procedura subisce un ulteriore allungamento dei tempi. I giudici avranno ora trenta giorni per motivare la decisione, a cui il governo potrà replicare. Ma un fatto è già chiaro: l’obiettivo dell’esecutivo di chiudere l’iter entro fine anno si allontana.
Non è la prima frenata. Alla fine di ottobre, la Corte aveva annunciato una bocciatura analoga alla delibera con cui, ad agosto, il Cipess aveva approvato il progetto definitivo del ponte e il pacchetto di finanziamenti necessari per avviare i lavori. Senza il via libera della magistratura contabile, quella delibera non può essere pubblicata né resa efficace. Tutto fermo, dunque: non solo il progetto, ma anche la possibilità stessa di aprire i cantieri.
Il ministro dei Trasporti Matteo Salvini ha subito tentato di ridimensionare la portata della decisione, definendola una conseguenza scontata del precedente stop. Nessun allarme, ha assicurato, annunciando che gli esperti del ministero sono già al lavoro per fornire i chiarimenti richiesti. Determinazione intatta, fiducia confermata. Ma lo scenario, oggi, è quello di un’opera simbolo che accusa una nuova battuta d’arresto.
I nodi tecnici
Per capire davvero cosa sia accaduto, è utile guardare oltre il rumore politico. La Corte dei conti sta svolgendo un controllo preventivo di legittimità, una procedura che verifica la conformità degli atti del governo alle norme, soprattutto sul piano finanziario. Al termine dell’esame, i giudici possono apporre il visto di legittimità, che consente la pubblicazione dell’atto, oppure negarlo. È quanto accaduto per l’atto più importante dell’intera operazione: la delibera del Cipess che definiva i costi, le coperture, l’impianto finanziario del progetto.
Secondo quanto emerso dalla riunione interna della Corte, la delibera sarebbe stata giudicata insufficiente e per alcuni versi errata. Lo aveva già lasciato intendere, a settembre, un documento di sei pagine con cui la magistratura contabile segnalava una serie di criticità su cui chiedeva chiarimenti al governo, al ministero delle Infrastrutture e al Dipe, la struttura tecnica del Cipess.
Il tema più delicato riguarda le deroghe ai vincoli ambientali. La commissione Via del ministero dell’Ambiente aveva espresso un parere favorevole, ma condizionato: il ponte, per come progettato, potrebbe produrre impatti ambientali rilevanti su alcune aree sensibili. Di qui la richiesta di introdurre regole e garanzie aggiuntive. Per superare il nodo, il governo aveva adottato una relazione IROPI, lo strumento che consente di dichiarare un’opera di interesse pubblico prevalente. In questo caso, però, l’esecutivo ha scelto una strada particolarmente impegnativa: ha definito il ponte un’infrastruttura di interesse militare, così da giustificare l’aggiramento di alcune prescrizioni ambientali. Una mossa giudicata da più parti discutibile, e comunque non sufficiente a dissipare le perplessità della Corte.
A ciò si aggiungono ulteriori rilievi: aumenti di costo ritenuti non adeguatamente giustificati, lacune documentali, elementi tecnici mancanti o incompleti. Non si tratta dunque di obiezioni politiche, ma di valutazioni che toccano la struttura stessa dell’operazione, dal piano finanziario agli impatti ambientali.
Una partita ancora aperta
La decisione della Corte dei conti non ha un valore vincolante nel merito politico: il governo può infatti ripresentare gli atti una volta corretti. Ma l’effetto sui tempi è innegabile. I trenta giorni necessari alla motivazione ufficiale, cui si aggiungeranno i tempi per la replica dell’esecutivo e per un nuovo esame, rendono ormai impossibile chiudere il dossier nei tempi annunciati dal ministro.
Il ponte sullo Stretto, da decenni simbolo di promesse infrastrutturali e di tensioni politiche, torna così nell’ombra di un’attesa indefinita. Non è la prima volta, ma oggi le criticità evidenziate non riguardano visioni ideologiche o polemiche parlamentari: sono questioni tecniche, strutturali, che chiedono risposte puntuali. Risposte che il governo dovrà fornire se vuole rimettere in piedi un progetto tanto ambizioso quanto, ancora una volta, fragile.
