La scena è quella di un sabato d’estate in una stazione di provincia, apparentemente come tante. È il 6 luglio 2024 quando un trolley viene notato tra i binari di Trieste. Non è un bagaglio dimenticato da un viaggiatore distratto, ma un oggetto che attira subito l’attenzione: all’interno c’è una pistola Luger calibro 9, con caricatore inserito e 14 proiettili pronti all’uso. Un ritrovamento inquietante, destinato ad assumere un peso ancora maggiore il giorno successivo, quando in città arriverà Papa Francesco per chiudere la 50esima Settimana sociale dei cattolici.
La coincidenza temporale basta a sollevare interrogativi e a mettere in allerta gli apparati di sicurezza. Poche settimane dopo, a migliaia di chilometri da lì, nei Paesi Bassi, scatta l’arresto di Hasan Uzun, 46 anni, cittadino turco con presunti legami con la galassia jihadista dell’Isis-Khorasan, la branca dello Stato Islamico attiva tra Afghanistan e Asia centrale, ritenuta tra le più feroci e attualmente osservata con particolare attenzione dalle intelligence occidentali.
L’uomo viene fermato dall’Interpol, estradato in Italia e trasferito prima nel carcere di Milano e poi a Trieste, dove oggi si trova in regime di isolamento. Secondo le prime ricostruzioni investigative, proprio Uzun potrebbe essere collegato al trolley con l’arma. Forse lo ha portato personalmente fino alla stazione, forse ha fatto da tramite per qualcun altro. I dettagli restano avvolti dal riserbo e non è chiaro se le certezze degli inquirenti derivino da immagini di videosorveglianza o da fonti riservate di intelligence.
A questo punto, l’equazione che lega pistola, terrorista e visita papale sembra scriversi quasi da sola. Ma le autorità frenano. Con una nota ufficiale, la Questura di Trieste smentisce in modo netto: “Non è emersa alcuna evidenza di progettualità ostili o omicidiarie nei confronti del Santo Padre e del cittadino turco arrestato in Olanda ed estradato in Italia”. Non solo. Gli investigatori locali aggiungono che Uzun potrebbe in realtà appartenere a circuiti criminali comuni, “non correlati al terrorismo di qualsivoglia matrice”. Una precisazione che ridimensiona l’ipotesi dell’attentato, ma non cancella le ombre che si allungano su questa vicenda.
Resta infatti il nodo centrale: perché una pistola carica, pronta all’uso, era nascosta in una stazione ferroviaria alla vigilia della presenza del Pontefice? È stato un segnale? Un avvertimento? Un’arma destinata a un piano più ampio mai scattato? O, al contrario, si tratta di una pista che nulla ha a che vedere con Francesco e con il Vaticano, ma che si colloca dentro dinamiche criminali di tutt’altro genere?
Per il momento, le uniche certezze sono i fatti nudi: un’arma sequestrata, un presunto terrorista in carcere, un’indagine aperta per porto e detenzione abusiva di arma da fuoco. Tutto il resto è ancora un mosaico incompleto. Sarà la magistratura friulana a stabilire se Hasan Uzun sia davvero un emissario dell’Isis-K o semplicemente un criminale comune finito dentro una vicenda più grande di lui.
Quel che è certo è che, per qualche ora, su Trieste ha aleggiato lo spettro di un attentato che avrebbe avuto un’eco mondiale. E che il giallo del trolley abbandonato alla stazione rimane una delle pagine più enigmatiche della cronaca recente.

