1 Dicembre 2025, lunedì
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“Mollo l’università e divento miliardario” (o più probabilmente disoccupato)

Il mito dei dropout miliardari e l’inganno che ci fa credere che studiare non serva

A cura di Daniele Cappa

Zuckerberg, Jobs e Gates hanno fatto fortuna senza laurea, ma sono l’eccezione che conferma la regola. Per tutti gli altri, i numeri parlano chiaro: studiare resta il miglior investimento contro l’anonimato (e la precarietà).

Mark Zuckerberg abbandona Harvard per fondare Facebook. Steve Jobs lascia il Reed College e un giorno tirerà fuori dalla tasca un iPhone. Bill Gates interrompe gli studi e costruisce Microsoft. Tre storie, tre leggende contemporanee. E una narrativa irresistibile: non serve la laurea per avere successo, anzi, a volte è proprio il contrario.

Il mito del dropout geniale funziona benissimo come storytelling. È ribellione, è libertà, è l’idea che anche tu, lasciando la facoltà di Giurisprudenza al terzo anno, possa inventarti il nuovo Google. Ma c’è un dettaglio che rovina la magia: si tratta di un bias del sopravvissuto.

Cos’è il bias del sopravvissuto

L’espressione arriva dalla statistica e descrive un errore cognitivo: tendiamo a guardare chi ce l’ha fatta, dimenticando chi si è perso per strada. Durante la Seconda guerra mondiale, ad esempio, gli ingegneri analizzavano i fori dei proiettili sugli aerei rientrati alla base per capire dove rinforzarli. Poi qualcuno fece notare l’ovvio: bisognava guardare agli aerei che non erano tornati.

Applicato al mondo del lavoro, il ragionamento è lo stesso: per ogni Zuckerberg che fonda un impero ci sono milioni di ragazzi che hanno lasciato gli studi senza creare nulla di memorabile, se non una scusa da raccontare ai parenti la domenica. Ma loro non fanno notizia, non diventano casi da manuale.

I numeri che smontano il mito

La statistica è impietosa. Secondo l’OCSE, in Italia un laureato guadagna in media il 39% in più rispetto a chi ha solo un diploma, e ha un rischio di disoccupazione sensibilmente inferiore. Negli Stati Uniti, i dati del Bureau of Labor Statistics mostrano che il tasso di disoccupazione tra i laureati è costantemente 2-3 punti percentuali più basso rispetto ai non laureati.

Tradotto: nella stragrande maggioranza dei casi, la laurea resta un biglietto di ingresso privilegiato per il mercato del lavoro. Non una garanzia assoluta, certo, ma un vantaggio concreto.

L’ingrediente segreto non è “mollare”

Allora, cosa accomuna Gates, Jobs e Zuckerberg? Non certo la mancanza del titolo di studio, bensì un mix irripetibile: accesso a università d’élite e alle loro reti, talento fuori scala, tempi storici perfetti, oltre a una dose di fortuna non trascurabile. In altre parole: condizioni straordinarie che poco hanno a che fare con il gesto di abbandonare gli studi.

Il bias del sopravvissuto ci porta a raccontare la loro biografia come una scorciatoia universale — “lascia perdere l’università e diventerai miliardario” — mentre la realtà dice l’opposto: la regola resta studiare, l’eccezione è fare storia mollando tutto.

Morale (meno sexy, ma più vera)

Il mito del dropout è un biglietto della lotteria travestito da ricetta di vita. Funziona nelle TED Talk, nelle serie TV e nei manuali di auto-aiuto, ma se guardiamo ai numeri scopriamo che la vera scorciatoia è proprio quella più antica: studiare.

Jobs, Gates e Zuckerberg sono icone irripetibili. Per tutti gli altri, la laurea resta — banalmente — l’investimento più solido.

In fondo, il vero paradosso è questo: non serve una laurea per diventare un genio, ma serve a quasi tutti per non restare uno qualunque.

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