11 Agosto 2025, lunedì
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Brescia, Ferragosto tra sacro e scandalo: la corsa delle meretrici che sfidava la morale

Per secoli il 15 agosto non fu solo processioni e mercati: tra le vie della città si disputava una gara tutta al femminile, con protagoniste le prostitute, che attirava folla e scommesse. Una tradizione antica, sospesa tra devozione e irriverenza, finita sotto la scure della censura religiosa.

A cura di Daniele Cappa

Un Ferragosto bresciano fuori dagli schemi

A Brescia, fino alla fine del Quattrocento e con echi ancora nei secoli successivi, il giorno dell’Assunzione di Maria non era solo preghiere e canti liturgici. Tra le fiere e i palii cittadini, quello più atteso — e più discusso — era la corsa delle meretrici: una gara podistica che vedeva schierate, in pieno centro storico, le prostitute della città, applaudite, incitate e commentate da una folla rumorosa, mista di nobili, artigiani, contadini e forestieri.

La competizione, nata probabilmente tra il tardo Medioevo e il primo Rinascimento, affondava le radici in una Brescia vivace e spregiudicata, crocevia di commerci, eserciti e influssi culturali. Nel giorno in cui la Chiesa celebrava la Madonna, la città si concedeva un diversivo tanto popolare quanto scandaloso.

Il percorso e il clima di festa

Le fonti più antiche descrivono un percorso che partiva da porta San Giovanni (oggi zona di Piazza Garibaldi) e terminava a Porta Bruciata, nel cuore medievale della città. Le concorrenti correvano a piedi nudi o con leggere calzature, indossando abiti corti e vistosi, ornati di nastri e fiocchi colorati.

Il pubblico non si limitava a guardare: si scommetteva sulla vincitrice, si incitavano le partecipanti con cori e, talvolta, con burle pesanti. Un cronista quattrocentesco ricorda con gusto un episodio tipico: «alcuni mugnai, per celia, usavano scagliare sacchi di farina, cosicché talvolta le corridrici sparivano in una nuvola bianca, tra le risate della folla».

Il palio e il sottile oltraggio religioso

Il premio per la vincitrice non era solo una ricompensa materiale. In palio c’erano quattro braccia di panno celeste — un tessuto fine, il cui colore richiamava simbolicamente il manto della Madonna. La scelta, probabilmente voluta o tollerata con malizia, era un gesto al limite del blasfemo: usare un colore sacro per premiare una “donna di malaffare” ribaltava l’ordine simbolico della festa.

Oltre al panno, potevano esserci monete d’argento, stoffe pregiate o inviti a cene pagate da facoltosi spettatori. Ma il vero guadagno era la visibilità: primeggiare nella corsa significava farsi conoscere e attirare nuovi clienti, in un’epoca in cui il passaparola era l’unico mezzo di pubblicità.

Sacro e profano, un equilibrio fragile

Il clima di festa popolare conviveva con una crescente tensione morale. Il podestà Marco Foscari, nel XV secolo, definì la corsa «vilipendio all’onore della Beatissima Vergine Maria», stigmatizzando l’idea che, proprio nel giorno dedicato alla Madonna, il centro cittadino si trasformasse in un palcoscenico di corse femminili giudicate indecorose.

Non mancavano, tuttavia, voci a favore della manifestazione. Alcuni notabili la difendevano come “tradizione del popolo”, capace di richiamare visitatori e movimentare l’economia cittadina.

La condanna del pulpito

Il colpo di grazia arrivò nel 1494 con la predicazione infuocata di Bernardino da Feltre, frate osservante francescano e noto moralizzatore. Dalla cattedra del pulpito, scagliò anatemi contro «quelle gare di scandalo e vilipendio», accusando le autorità cittadine di complicità. La sua oratoria accesa ottenne l’effetto desiderato: il Comune cedette alla pressione religiosa e la corsa fu ufficialmente abolita.

Scrisse un cronista dell’epoca: «Solo gli anatemi del predicatore Bernardino da Feltre riuscirono a far cessare queste vilipendiose cerimonie».

Gli echi nei secoli successivi

Nonostante la soppressione ufficiale, è probabile che corse analoghe o rievocazioni parodistiche siano sopravvissute in forma clandestina ancora per decenni, soprattutto nei quartieri popolari e durante fiere meno sorvegliate. Alcuni resoconti ottocenteschi — più romanzati che storici — citano “gare femminili improvvisate” nelle periferie cittadine, con premi modesti e senza più il carico simbolico del panno celeste.

Memoria di un’altra Brescia

Oggi della corsa delle meretrici restano solo riferimenti in cronache, registri comunali, diari privati e stampe popolari che ritraggono donne in corsa tra ali di folla. Non è solo un episodio folcloristico: è un frammento della storia culturale bresciana che racconta di un tempo in cui la città sapeva mescolare il sacro e il profano, l’ordine e la trasgressione.

Se per la Chiesa e i moralisti fu una vergogna, per il popolo era un gioco liberatorio, una parentesi in cui l’autorità si sospendeva e le gerarchie si ribaltavano.

E chissà — tra i sorrisi delle corridrici e le nuvole di farina — quanta parte di Brescia, allora, rideva di sé stessa, consapevole che una città non è fatta solo di devozioni, ma anche di storie capaci di scardinare, per un giorno, la serietà della vita.

La corsa delle meretrici in breve

  • XIV-XV secolo – Prime testimonianze documentate della corsa, legata alle celebrazioni dell’Assunzione di Maria.
  • Percorso tradizionale – Da Porta San Giovanni (oggi Piazza Garibaldi) a Porta Bruciata.
  • Il premio – Quattro braccia di panno celeste, simbolicamente legato al manto della Madonna.
  • Le burle popolari – Mugnai e giovani lanciavano sacchi di farina per rallentare le concorrenti.
  • 1494 – Il frate Bernardino da Feltre predica contro la corsa, definendola “vilipendio” e spingendo le autorità ad abolirla.
  • XVI-XVII secolo – Possibili gare clandestine e varianti popolari senza panno celeste.
  • Ottocento – Rievocazioni aneddotiche in cronache locali, ormai prive di legame diretto con la festa dell’Assunta.

Voci dall’epoca

«Vilipendio all’onore della Beatissima Vergine Maria»
Marco Foscari, podestà di Brescia, XV secolo

«Solo gli anatemi del predicatore Bernardino da Feltre riuscirono a far cessare queste vilipendiose cerimonie»
— Cronaca bresciana, 1494

«Quattro braccia di panno celeste per colei che corre più veloce»
— Registro comunale, XV secolo

Curiosità

  • Il panno celeste era non solo un premio di valore, ma anche un gesto simbolico che ribaltava il significato sacro del colore mariano.
  • Alcuni storici ritengono che la corsa fosse una sorta di rito di “capovolgimento” sociale, simile alle feste carnevalesche medievali.
  • Il pubblico comprendeva tutte le classi sociali, dalle dame che assistevano dai balconi ai contadini giunti in città per la fiera.

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