A cura del Prof. Avv. Giuseppe Catapano
In questo mondo bisogna sapere prendere atto dei cambiamenti e “ricalcolare il percorso”, disponibili anche a rimettere in discussione i riferimenti utilizzati per una vita intera.
Pensare ai dialoghi tra il don del Film e il Cristo del suo crocefisso, ci aiuta a comprendere…non è il Cristo, ma il mio Cristo cioè la voce della mia coscienza”.
Don Camillo parla con il Cristo di quello che gli accade, mettendo a tema le vicende tristi e liete della vita quotidiana, sue e delle persone intorno a lui: la povertà, il lavoro, la giustizia sociale, la meschinità, la sete di vendetta e in generale il male procurato dagli uomini e quello che viene dalla natura, la politica locale e quella globale.
Il dialogo di don Camillo con il Cristo è quello di un figlio con un padre a cui ha la libertà di chiedere tutto, di esprimere senza formalismi e finzioni tutto sé stesso.
Il Cristo non si impone con violenza e autoritarismo, ma partendo dall’osservazione dei fatti spinge don Camillo, spesso con ironia, a riflettere, a ragionare, utilizzando la verità che è dentro di lui.
Il dialogo interiore si mostra così potente che fa cambiare, correggere e far accorgere che la fede è il seme che non muore e rinasce dopo ogni tragedia, sconfitta. Per questo don Camillo accetta qualunque privazione e sacrificio, ma non rinuncia al dialogo con il suo Cristo in croce.
È un’astrazione quella che divide il rapporto con Dio da quello che abbiamo con le persone. La qualità del rapporto con Dio dice della qualità del rapporto con le persone e viceversa. Non si possono dividere, perché la persona è una, unita.
Al di là di questo, il tema è quello del riferimento. Il rischio che vedo è lo svuotamento dell’autocoscienza personale, ma anche culturale, delegato a un’entità fuori di noi. Come non esistiamo senza relazioni, così non possiamo esistere senza un dialogo interiore. Quest’ultimo è fortemente in crisi.
E’ in pericolo un’identità personale che tende a crearsi sempre più fuori di noi, anziché dentro.
I ragazzi, si prendono sul serio a condizione che siano conosciuti, visti, apprezzati, che ricevano like, commenti e così via. […] Il sé del ragazzo si svuota: l’interno del suo essere evapora nel discorso permanente dei social; il chiacchiericcio dei social media dà al singolo un sentimento di valore”.
Non c’è solo l’isolamento digitale a darci l’alibi di poter ignorare il nostro riferimento interno, ma anche dinamiche di gruppo non vissute con la giusta distanza critica.
È vero che nel rapporto con gli altri trovo me stesso, ma non lo trovo se non do il giusto ascolto al mio mondo interiore.
Credo che questo sia un momento in cui serve rallentare, fermarsi e recuperare questa dimensione. E nel frattempo continuare a lasciarci ispirare.
Non viviamo senza gli altri, senza una comunità prossima, e senza luoghi di appartenenza più ampi. Ma se questi luoghi non aprono a quei momenti di dialogo personale con noi stessi e con la verità che alberga in noi, si perde la strada, anche se si rimane in compagnia.