18 Maggio 2024, sabato
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Le ferite alla dignità bruciano sempre

A cura dell’Avv. Margherita Morelli

Il gesto irrispettoso compiuto dall’avvocato che ha accartocciato i fogli della sentenza lanciandoli contro il giudice, peraltro manifestando disprezzo per la sua decisione, per quanto censurabile, merita piuttosto una seria riflessione.
Di tali episodi gli uffici dei giudici di prossimità sono pregni. Di vicende analoghe una certa esperienza personale resta ancora impressa come marchio indelebile, sulla carne di chi l’ha subita nella totale indifferenza delle istituzioni, dei sindacati dei giudici e di chi avrebbe invece dovuto tutelare la dignità della funzione giurisdizionale. Restituire al giudice il proprio ruolo e difenderne la dignità, la libertà, l’autonomia e l’indipendenza, nella inevitabile commistione di ruoli tra giudici e dipendenti scaturita dal passaggio di gestione agli uffici comunali, per esempio, non e’l’unico dovere che anche inopportunamente ,non e’stato assolto.
Ma tanto è. Resta anche la causa principale e consapevole di scelte personali divenute definitive e irreversibili per superare il trauma non del tutto elaborato, cagionato da un’agonia della giustizia e dei valori costituzionali lenta e inesorabile che da tempo, travolge e sconvolge chi l’amministra e chi la subisce, a prescindere dal ruolo ricoperto e dall’autorevolezza della condizione.
Non so cosa abbia provato il giudice di fronte alla incapacità dell’avvocato di trattenere le proprie pulsioni, probabilmente anche esasperato da un elevato livello di stress, su cui occorrerebbe viepiù meditare. Voglio però ,immaginare il l’incredulità, la titubanza, il disagio e poi anche la sofferenza e l’indignazione dopo la sorpresa, di chi resta consapevole di avere compiuto il proprio dovere ,nell’interesse superiore della giustizia anche a tutela della dignità di una funzione, la più difficile ,complessa e spesso la più penosa da assolvere perché indirizza le vicende degli uomini
Che si tratti di un giudice onorario e precario o di un giudice di Tribunale togato e in carriera, la sostanza non cambia perché le ferite bruciano sempre e lasciano un segno indelebile ,a prescindere dalla solidarietà che ne scaturisce o dalla solitudine che non contribuisce a lenirne gli effetti.
Resta inquietante in ogni caso, il quadro che emerge perché giudici e avvocati non si parlano più e non sono più abituati al confronto e talvolta anche allo scontro civile e costruttivo. Giudici e avvocati si scontrano invece su un impervio campo di battaglia minato di preclusioni e note di trattazione scritta, sinteticità degli atti, entrambi armati da un ansia iperattiva da produttività e da prestazione. La sostanza però non cambia; che ad amministrare la giustizia sia un giudice professionale o volontario il campo di battaglia e’il medesimo e le ferite inferte pure che bruciano sempre, a prescindere.

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