28 Novembre 2023, martedì
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La democrazia è gravemente malata

A cura del Prof. Avv. Giuseppe Catapano

Una cosa va detta senza ipocrisia: della crisi sistemica della politica italiana – peggiore ma non così significativamente diversa da quella delle altre democrazie occidentali – portiamo la responsabilità tutti noi, l’intero Paese. E non solo perché ci disinteressiamo della politica, e quando invece la osserviamo è soprattutto per assecondarne i più bassi istinti, ma anche e soprattutto perché noi stessi ci siamo accontentati di vivere il presente a scapito del domani, senza progettualità, senza impegno. E quand’anche ci capita di guardare al futuro, lo facciamo nel privato, senza mai praticare la fatica della dimensione collettiva. Manca l’ambizione sociale, e senza quella è inutile lamentarsi dei parlamentari assenteisti. Non stonano, nel quadro – immagino armocromisticamente nero – che ritrae il popolo italiano.

Ci si è scandalizzati, e giustamente, dei deputati assenti al momento del voto sul Def, che ha costretto il governo ad una rincorsa affannosa proprio mentre si erano accesi i riflettori di Bruxelles e dei mercati sui nostri conti pubblici, sulla tenuta del debito rispetto alla crescita del pil e sui tempi e i modi di realizzazione dei progetti e delle riforme del Pnrr. Ma non è persino peggio che in tre mesi siano stati varati soltanto 21 dei 145 dei decreti e dei provvedimenti attuativi previsti dalla manovra di bilancio a suo tempo approvata? Vuol dire che oltre l’85% delle misure è solo sulla carta e che un quarto degli atti in sospeso è ormai fuori tempo massimo, bloccando risorse per due miliardi e mezzo. E non è che un esempio di come le leggi, sulle quali tanto ci si azzanna in fase di discussione preventiva, restino poi miseramente lettera morta. Come stupirsi, poi, se l’Italia si rivela incapace di spendere le risorse europee, che peraltro reclama con alterigia, se non riesce ad essere credibile in Europa e nel mondo, se non possiede un progetto condiviso di crescita e modernizzazione. La verità è che in questo vuoto pneumatico si preferisce voltare la testa indietro e lanciarsi in discussioni infinite, che ciclicamente si ripresentano sempre uguali a sé stesse, come quelle sul tasso di fascismo che alberga nella destra – che in questi giorni intorno alla ricorrenza della Liberazione hanno dilagato senza portare un mattone che fosse uno alla costruzione di una memoria condivisa – o sui residui di comunismo che inquinano la sinistra. Oppure ci si infila in pantomime che sarebbero divertenti se non facessero piangere, come la penosa querelle politico-mediatica nata dalla stravagante idea di Elly Schlein – segno di un terrificante deserto mentale – di farsi fotografare per le pagine patinate di Vogue raccontando che si veste obbedendo ai sapienti consigli di una “armocromista”. Non so a voi, ma a me di Giorgia Meloni preoccupano di più le evidenti lacune nella gestione del potere e nella progettualità di governo, che non il suo tasso di nostalgia per il tempo che fu (e che oggi è morto e sepolto). E della neo-segretaria del Pd mi preoccupa molto il massimalismo populista sotto cui nasconde un vuoto di idee e di cultura politica, e per niente il suo abbigliamento finto trasandato (che peraltro mi pare coerente con il suo profilo radical-chic).

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