28 Marzo 2024, giovedì
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Paradiso fiscale e residenza

a cura del Prof. Giuseppe Catapano

Il trasferimento nei cosiddetti Paesi a fiscalità privilegiata comporta, a differenza dei trasferimenti in Paesi non a fiscalità privilegiata, che sia il soggetto espatriato a dover provare e documentare l’effettiva residenza all’estero. Tale prova, tuttavia, non è sempre agevole, soprattutto in presenza di determinati elementi che potrebbero indurre l’Amministrazione finanziaria italiana a ritenere fittizia la residenza, con possibili conseguenze anche penali. 

Il trasferimento della residenza fiscale dall’Italia a Paesi a fiscalità privilegiata, spesso nell’occhio del ciclone di stampa e mass-media per gli accertamenti fiscali che ne sono conseguiti a carico di personaggi famosi, si è rivelato nel corso degli anni un fenomeno in crescente aumento e, in molti casi, frutto della mera volontà di beneficiare del più favorevole regime fiscale del Paese estero, sottraendosi all’imposizione progressiva in Italia dei redditi complessivi ovunque prodotti. 

Per poter comprendere, tuttavia, se sussistono gli elementi per potersi trasferire senza incorrere in sgradevoli accertamenti da parte del Fisco italiano è importante comprendere la nozione di residenza fiscale. 

Ai fini delle imposte sui redditi, risultano fiscalmente residenti nel territorio dello Stato e dunque soggetti a imposizione progressiva in Italia gli individui che, per la maggior parte del periodo d’imposta (almeno 183 o 184 giorni), alternativamente:

– risultano iscritti nelle anagrafi comunali della popolazione residente; 

– hanno il domicilio nel territorio dello Stato ai sensi dell’art. 43 co. 1 c.c.; 

– hanno la residenza nel territorio dello Stato ai sensi dell’art. 43 co. 2 c.c. 

Nel caso di trasferimento in Paesi a fiscalità privilegiata, tuttavia, a norma del comma 2-bis dell’art. 2 Tuir, introdotto a decorrere dal 1999 proprio per contrastare una fittizia emigrazione all’estero, opera una presunzione relativa secondo la quale i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione continuano ad essere considerati residenti fiscalmente in Italia. 

Se è pur vero che la cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente, e la conseguente iscrizione all’Aire, non sono elementi che consentono di far escludere a priori la residenza fiscale in Italia – avendo l’Amministrazione finanziaria la possibilità di dimostrare la sussistenza di una delle altre condizioni, ovvero residenza o domicilio -, nel caso di trasferimento in un Paese a fiscalità privilegiata, l’onere della prova è ribaltato e spetta, pertanto, al contribuente stesso dimostrare la propria residenza all’estero. 

La norma, quindi, al fine di contrastare gli indebiti benefici di imposta derivanti dai predetti trasferimenti, pone, a carico del soggetto espatriato in un Paese c.d. tax haven, l’onere di dimostrare l’effettiva residenza estera, laddove, al contrario, in caso di trasferimenti in c.d. Paesi white list è l’Amministrazione finanziaria a dover provare la sussistenza delle condizioni per provare la residenza in Italia. 

Alla luce di ciò, risulta allora importante comprendere il significato associato alle definizioni di residenza e di domicilio secondo la prassi e la giurisprudenza italiane per meglio cogliere le concrete applicazioni. 

La residenza, ai sensi del Codice civile, rappresenta “il luogo in cui la persona ha la dimora abituale”. Per abitualità della dimora deve intendersi la dimora in cui non solo si soggiorna di fatto, ma anche il luogo in cui si intende soggiornarvi stabilmente, mantenendovi le proprie relazioni familiari e sociali e dove si torna quando possibile. La residenza, infatti, non viene meno in ragione di assenze più o meno prolungate dovute a ragioni quali studio, lavoro, cura o svago. All’elemento oggettivo che consiste nella permanenza fisica in un determinato luogo, sia associa, attraverso la valutazione delle abitudini di vita dell’individuo, quello soggettivo, ovvero la volontà di permanere in quel determinato luogo. 

Il domicilio di una persona è, invece, il luogo in cui essa ha fissato “la sede principale dei propri affari ed interessi”, ove per affari ed interessi devono intendersi non solo i rapporti di natura patrimoniale ed economica ma anche morali, sociali e familiari. Tale assunto fa sì che la nozione di domicilio si presti a valutazioni principalmente di carattere qualitativo e non meramente quantitativo. Il domicilio, infatti, prescinde dalla presenza fisica di un individuo in un luogo specifico, e si basa sulla scelta operata dall’individuo stesso di conservare in tale luogo la sede principale dei propri affari ed interessi. L’elemento soggettivo in tale caso è rappresentato dalla volontà dell’individuo di costituire e conservare in quel luogo il centro dei propri interessi vitali, mentre quello oggettivo consiste nel fatto che ciò accada realmente e che tale situazione sia riconoscibile dai terzi.

Stante le indicazioni contenute già nella circolare 140 E/1999, emanata proprio per fornire chiarimenti in ragione della presunzione di cui al comma 2-bis dell’art. 2 Tuir, ai fini dell’assolvimento dell’onere della prova è possibile utilizzare qualsiasi mezzo di natura documentale o dimostrativa idoneo ad attestare, principalmente: 

– la sussistenza della dimora abituale nel Paese privilegiato sia personale che dell’eventuale nucleo familiare;

– lo svolgimento di un rapporto lavorativo a carattere continuativo, stipulato nello stesso Paese estero, ovvero l’esercizio di una qualunque attività economica con carattere di stabilità; 

– la stipula di contratti di acquisto o di locazione di immobili residenziali, adeguati ai bisogni abitativi, nel Paese estero; 

– l’iscrizione ed effettiva frequenza di eventuali figli presso istituti scolastici o di formazione del Paese estero. 

A suffragio di ciò, a titolo meramente esemplificativo, potendo avvalersi di qualsiasi prova adatta ad appurare il reale ed effettivo trasferimento, si potrà fornire: 

– la movimentazione a qualsiasi titolo di somme di denaro o di altre attività finanziarie nel Paese estero e da e per l’Italia; 

– le fatture ricevute per la fornitura di servizi (gas, luce, telefono e di altri canoni tariffari) nel Paese estero; 

– l’eventuale iscrizione nelle liste elettorali del Paese d’immigrazione; 

– l’eventuale iscrizione a centri sportivi, circoli, ecc nel Paese estero; 

– prova della fruizione del servizio sanitario del Paese d’immigrazione, nonché prestazioni assicurative e previdenziali; 

e dimostrare che: 

– vi sia l’assenza di unità immobiliari tenute a disposizione in Italia o di atti di donazione, compravendita, costituzione di società, ecc.; 

– non vi siano nel nostro Paese rapporti significativi e duraturi di carattere economico, familiare, politico, sociale, culturale e ricreativo. 

Si ricorda, poi, che nella check-list predisposta ai fini dell’accertamento dei requisiti dei nuovi residenti ex art. 24 bis Tuir, l’Agenzia delle entrate ha individuato talune fattispecie che sono ritenute rivelatrici di una presenza significativa sul territorio italiano e quindi di un legame importante nell’ambito della qualificazione come residente fiscale in Italia. 

In tema di residenza fiscale della persona fisica e onere della prova, tra le tante, è di recente intervenuta la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15648 del 16 maggio 2022, la quale confermando l’importanza degli elementi sostanziali forniti dal contribuente idonei a vincere la prova contraria prevista dall’articolo 2, comma 2-bis, Tuir, ha individuato nell’ottenimento della cittadinanza estera un forte indizio di effettivo trasferimento. 

Per concludere, in considerazione di tutto quanto sopra, si ritiene che il trasferimento in un Paese a fiscalità privilegiata deve necessariamente essere accompagnato da una concreta e duratura dimora nel Paese estero e sostenuto, al contempo, da tutti gli elementi utili a dimostrare la perdita di ogni significativo collegamento con lo Stato italiano. 

In caso contrario, qualora non si presentino le dovute dichiarazioni fiscali in Italia e non si assoggettino a tassazione italiana tutti i redditi ovunque prodotti, vi è il rischio di incorrere in onerosi accertamenti fiscali che, oltre a ricondurre a tassazione italiana i suddetti redditi con applicazione di sanzioni e interessi, possono condurre anche a riflessi di tipo penale.

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