20 Aprile 2024, sabato
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Ucraina: Unc, Ismea smentisce i gufi

Nessun rialzo della pasta per colpa della guerra in Ucraina

“Ismea ha appena pubblicato un interessante dossier sulle possibili conseguenze che possono derivare dalla guerra in Ucraina per il settore agroalimentare che conferma le nostre tesi e smentisce i gufi che stanno già gridando al rialzo dei prezzi di alcuni beni per via della guerra, come se i  rincari delle quotazioni delle materie prime potessero trasferirsi all’istante sui prezzi dei prodotti finali trasformati” afferma Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori.

“Ismea sostiene chiaramente che nessun rialzo della pasta può essere dovuto alla guerra in corso, visto che, come riportato dall’Ismea, “nelle forniture globali di grano duro, il ruolo dei Paesi direttamente coinvolti dal conflitto oppure rientranti geograficamente o politicamente nell’orbita russa è praticamente inesistente“” prosegue Dona.

“La pasta, infatti, è diventata più cara in un anno del 12,5% (da gennaio 2021 a gennaio 2022) ed è destinata a salire ulteriormente nel mese di febbraio, come attestano le anticipazioni provvisorie dell’Istat (pasta e couscous, che oltre alla pasta fresca e secca include i preparati di pasta, segna un’inflazione tendenziale a febbraio pari a +11,7%, contro un +9,3% di gennaio), ma per colpa delle mancate importazioni dal Canada (-59,6%) e poi dagli Stati Uniti, (-46,1%) che hanno avuto cattivi raccolti, non certo per la Russia o l’Ucraina. Inoltre va ricordato che la materia prima incide per meno del 25 sul prezzo finale di vendita. Questo vuol dire, ad esempio, che per avere un aumento della pasta del 20 o del 30%, il prezzo del grano dovrebbe salire, rispettivamente, dell’80 e del 120%. Ecco perché chiediamo a produttori e distributori di pasta di non speculare sul piatto tipico degli italiani e dimostrare senso di responsabilità. Annunciamo, fin d’ora, comunque, che denunceremo all’Antitrust ogni ricarico anomalo” prosegue Dona. 

“Va un po’ meno bene per il pane, che dipende dal frumento tenero, ma oggi Ismea ci conferma che, rispetto al nostro import totale nazionale, l’Ucraina ci fornisce una quota del 5%, la Russia dell’1%. Quote definite marginali. Inoltre, visto che la materia prima incide per circa il 10% sul prezzo finale, vuol dire che servirebbe un aumento del 30% per avere un rincaro del 3%. Il pane, infine, è già salito a febbraio del 4,9%, sommando fresco e confezionato, quindi ulteriori ritocchi nei prossimi mesi potrebbero esserci, ma contenuti e per via dei rincari dei prezzi energetici.  La guerra, insomma, non deve diventare una scusa per svuotare ulteriormente le tasche degli italiani che non possono svenarsi per acquistare un prodotto base della nostra alimentazione quotidiana” conclude Dona.

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