26 Aprile 2024, venerdì
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RIFORMARE LO STATO RIVEDENDO LA COSTITUZIONE

A cura di Giuseppe Catapano

Le cose da fare, sul fronte sanitario come su quello della ripresa economica, sono ancora moltissime, ma la sensazione è che sui due punti decisivi degli impegni che il governo Draghi si è assunto, si possa esprimere un discreto grado di soddisfazione. Cosa che trova riscontro anche nei sondaggi d’opinione, i quali ci dicono che la maggioranza degli italiani è soddisfatta del lavoro che sta svolgendo l’attuale esecutivo.

È probabile, che Draghi decida di fare la cosa per lui più onerosa e meno conveniente, cioè che quella di restare al governo fino alla fine della legislatura. Ma non potrà non porsi lui, e tantomeno porci tutti noi, il problema di cosa succederà una volta che lascerà l’incarico. Che sia tra 8 o 22 mesi, cambia poco. E, paradossalmente, tanto più lui avrà fatto bene, e tanto maggiore sarà il problema. Perchè, da un lato, la montagna dei nodi da sciogliere e delle riforme da fare è talmente alta, che per quanto Draghi avrà fatto onore al soprannome che gli è stato affibbiato, SuperMario, comunque servirà un altro decennio virtuoso a farci imboccare la strada di quel Rinascimento da molti evocato e sognato. Mentre dall’altro lato, il tempo che abbiamo davanti è talmente poco e le premesse talmente pessime, che solo un atto di fede può farci credere che i partiti e il sistema politico useranno i prossimi mesi per resettarsi e riconquistare la fiducia perduta dei cittadini.

Stiamo iniziando a smaltire la sbornia dei nessuno che vanno trionfalmente al potere solo perché hanno urlato “vaffa” nelle piazze e sui social, che se ne profila un’altra. Perchè la vicenda Fedez avvenuta (non casualmente) alla manifestazione del primo maggio – qualunque sia il giudizio sul personaggio (il mio è pessimo) e sul merito dell’accaduto – mi fa temere che il vuoto che si sta nuovamente creando nella politica, questa volta possa essere riempito da qualche pifferaio magico che, dall’alto dei milioni di followers e di like che può vantare, vesta i panni del tutore del politicamente corretto (tornato di moda per effetto della pandemia), s’impalchi e detti la linea.

Come i  Ferragnez di essere ritenuti sinceri perché non contaminati, tantomeno dalla politica, è altissima.

A pensarci bene, comunque, il paradigma della follower leadership – laddove il politico anziché essere il leader, cioè quello che indica una direzione di marcia, che descrive un destino e un orizzonte per la propria comunità, è il detentore di “seguaci” – non è cosa di oggi ma, come il populismo, viene da lontano. E non è cosa solo italiana. Il vero tema, però, è il susseguirsi, in questi ultimi anni, dell’apertura di sempre nuove e sempre più ampie finestre di opportunità per outsider extra politici, proprio perché la politica, di fatto, si è ritirata. E più la politica si ritira, e più chi di volta in volta riempie il vuoto, è peggiore del precedente.

Per questo occorre fermare la giostra. Ora Draghi, pur non provenendo dalla militanza politica, rappresenta l’opposto della follower leadership. È il simbolo della competenza e dell’austerità istituzionale. E quindi è un freno al decadimento. Ma solo fino a quando ricopre quel ruolo. E dopo? Gli attuali partiti, chi più chi meno tutti di lotta e di governo (la differenza sta solo nei modi), non sono certo adatti a dare continuità a questa fase. La quale, tra l’altro, tanto più sarà virtuosa e tanto più metterà sotto gli occhi dei cittadini i loro difetti. Come ha scritto Marco Follini, “se i partiti lottano e il presidente del Consiglio governa, è evidente che la gran parte delle lotte in corso finiranno per rivelare la loro inanità”. Se poi lottano per prolungare l’orario dei ristoranti dalle 22 alle 23 o litigano sul consumo del caffè (al banco o al tavolino del bar, o da asporto?), mentre Draghi chiama la von de Leyen per tranquillizzarla che sul PNRR si farà come dice lui (“garantisco io”), beh non c’è bisogno che vi dica chi conta e chi è destinato all’irrilevanza.

 D’altra parte, se l’azione riformatrice di Draghi dovesse avere tra i suoi effetti anche quello di sparigliare le carte dei partiti che lo sostengono, ciò sarebbe cosa buona e auspicabile. Ma a maggior ragione, tocca ragionare sul “dopo”. E qui ci sono solo due scenari, peraltro non necessariamente alternativi tra loro. Anzi. Il primo scenario è che nasca il “partito di Draghi”. Però, se il significato di questo fosse la discesa in campo dell’ex presidente della Bce, sarebbe tanto augurabile quanto probabile: poco o niente. Se invece significasse la nascita di un partito capace di inserirsi nel solco dell’azione di Draghi senza per questo coinvolgerlo direttamente, e riempisse quel sempre più grande spazio vuoto che nella geografia politica sta al centro, allora sarebbe cosa buona e giusta.

Il secondo scenario, è che si metta mano alla Costituzione e si riformi la Repubblica. Per il tramite di un’Assemblea Costituente. O, se ne si ha paura (del termine, più che altro), per il tramite di una Commissione ristretta (di non parlamentari) eletta con voto proporzionale puro a collegio unico nazionale, la cui nascita sarebbe da approvare in parlamento con i criteri della legge costituzionale. Per mille e una ragione, questa proposta non può essere Draghi ad avanzarla, anche se sarebbe auspicabile che ne preparasse diplomaticamente il terreno (il suo non inseguire riflettori e telecamere lo favorirebbe in questo) con coloro che stanno nella sua maggioranza. Dovrebbero essere i leader di partito a farlo. Finora l’unico che ne ha parlato – aggiungendo anche il non trascurabile dettaglio che la stessa legge con cui si istituirebbe la Commissione di riforma costituzionale dovrebbe prevedere il prolungamento fine a fine legislatura del mandato di Mattarella, in modo dar coincidere i tempi – è stato l’ex presidente del Senato, Marcello Pera. Meritoriamente, ma appunto, un ex. Qui tocca che si diano una mossa coloro che controllano gli attuali gruppi parlamentari, magari sospinti da un po’ di pressione mediatica. Altrimenti Draghi diventerà presto un rimpianto e loro saranno spazzati via dal primo Fedez che passa.

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