26 Aprile 2024, venerdì
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Le tre derive della Pandemia: etico-morale, politica, esistenziale. Il punto di Simone Fagioli

Le tre derive della Pandemia: etico-morale, politica, esistenziale.

Vorrei partire dall’assunto universale che la vita è il bene più importante per l’uomo. Tutti gli uomini, pertanto, rifuggono la morte, cercando di posticiparla il più tardi possibile. La paura che la morte e la sofferenza potessero coinvolgere numeri stratosferici della popolazione italiana a causa del coronavirus, altrimenti detto “tutela della salute pubblica”, ha indotto il governo ad adottare il cosiddetto “principio di cautelazione” o anche “principio di precauzione” (cfr. art 191 del “Trattato sul funzionamento UE”): visto che la scienza e la statistica non riescono a fornire dati certi ed incontrovertibili, un vaccino o terapie basate su protocolli scientifici testati, ma solo previsioni e cure empiriche, si applica una quarantena nazionale.

Alla base di questo postulato, all’origine dei suoi atti governativi, successivi alla diffusione del virus, si è posto il seguente postulato: il diritto alla salute è primo rispetto a qualsiasi altro diritto, il diritto alla salute deve essere perseguito sempre e comunque, costi quel che costi.

La salute prima di tutto, a discapito di altri diritti ugualmente fondamentali, ma sacrificabili in vista del mantenimento della salute, è stato il faro di una condotta evidentemente machiavellica.

Una strategia di questo tipo è basata sul “chi può non esca di casa o esca il meno possibile, in modo da non infettarsi”: in effetti, nel 1348 i sudditi di quell’Europa si salvarono dalla peste attraverso quarantena ed isolamento sociale. I meno abbienti morirono a milioni e chi rimase fu afflitto da una gravissima crisi economica. Oggi siamo nelle medesime condizioni del Basso Medioevo, nonostante il progresso medico e tecnico-scientifico, ma, per fortuna, mancano i milioni di morti: si vive in uno stato di quarantena e di crisi economica asimmetrica. Infatti, a onor del vero, non tutti stanno soffrendo la stessa crisi: pochissimi stanno guadagnando enormemente, viceversa la “gente di quartiere” è messa in ginocchio sia dalla malattia sia dalla crisi economica. E la morsa della fame, purtroppo, per i più poveri arriverà sempre più forte.

“La salute prima di tutto” è diventato un imperativo incontestabile, a discapito di ogni altra cosa, di qualsiasi altro diritto inalienabile, e tutto questo stabilito da un comitato di salute pubblica, che si avvale di migliaia di tecnici e di scienziati e di ulteriori comitati, che valutano su un qualcosa che muta velocemente, che non è prevedibile, il virus, chiamato #covid-19 #SARS-Cov -2.

A questa situazione si aggiunge il fatto che coloro che rappresentano la “comunità scientifica”, vale a dire medici, scienziati, virologi, veterinari, psichiatri, allergologi, medici legali, biologi e Premi Nobel, dicono tutto e il contrario di tutto, niente è certo ed incontrovertibile sull’origine e sull’eziologia del #covid-19 #SARS-Cov -2, sulle modalità di contagio e sul livello di contagiosità, sul numero dei morti, sui protocolli, sulle mascherine e sull’utilizzo dei guanti.

Se qualcuno avesse ancora qualche dubbio, si può ben dire che la scienza non è obiettiva, né oggettiva, ma è sempre e comunque problematica e valutativa in concreto, e non c’è “contesto della giustificazione” che tenga: la comunità scientifica è composta da persone, ha gli stessi vizi e virtù di chi la compone.

Tuttavia, mai la politica deve abdicare alle decisioni della scienza, poiché, banalmente, essa stessa è scienza, è “scienza politica”. La politica, semmai, si può avvalere della scienza, senza mai però negare diritti inalienabili e fondamentali, garantiti nella Costituzione italiana dai Padri Costituenti. Una forma politica che fosse succube di un comitato scientifico di salute pubblica si conformerebbe come una forma di “autoritarismo scientista”.

Ci sarebbe il bisogno di riprendere in mano i classici della filosofia morale, a partire da Aristotele, Frankena, Jankelevitch, Rawls, per giungere al più recente il filosofo francese Roger Pouivet. L’azione e la decisione non hanno solo un aspetto legale, ma etico-morale. La globalizzazione e la tecnologia non possono uscire da un ambito etico-morale, altrimenti tutto diventa possibile. La filosofia e la storia ci insegnano che non si può fare tutto ciò che sarebbe possibile fare: l’etica ci vieta di fare alcune azioni e di prendere certe decisioni.  La modernità ha avuto il pregio di dividere l’etico dal legale, la sfera privata da quella pubblica: tuttavia, se entriamo nel campo dell’immorale allora gli sfondi storici a cui dobbiamo fare riferimento non sono più certamente quelli repubblicani e, molto spesso, nemmeno democratici. E tutto questo perché oggi non ci si pone più domande filosofiche di senso, essendo la filosofia stessa diventata marginale all’interno del dibattito culturale e politico. Oggi consorterie varie, gruppi di potere contrastanti oppure stessi gruppi di potere che si avvalgono a periodi alterni di personaggi diversi, per via di questa latitanza del pensiero critico e dell’assenza della partecipazione attiva dei cittadini alla vita politica, stanno prendendo vesti autoritarie, spogliandoci dei diritti repubblicani. Nessuno difende più il cittadino medio, il “Kleiner Mann”, nemmeno i corpi intermedi, che sono a volte assenti, troppe volte estromessi dalle decisioni politiche.

Da un punto di vista esistenziale, la confusione, la disinformazione, la televisione, le immagini della Pandemia, i numeri catastrofici hanno generato la “paura”. Una paura terrorizzante di massa, all’interno della quale spero che l’uomo non perda la sua umanità e la sua caratteristica di essere un “animale sociale”. Spero che i bambini non trascorrano sette ore al giorno davanti ad uno schermo e che non rimangano attaccati alle finestre da dentro le case, magari di periferia, a sognare la natura, anziché viverla. Soprattutto spero che l’uomo non perda il principio di solidarietà, che, nei momenti di crisi come questo, viene messo in discussione dall’egoismo personale, che prende il sopravvento. Mi auguro che i cittadini italiani, impauriti, terrorizzati, in preda alla malattia e alla fame, e costretti a vivere in quarantena una vita inautentica, sotto il flusso martellante della televisione, immersi nel mondo dalla “uniformità gregaria”, non si trasformino in delatori, in Caposcala o Capopalazzo di memoria dittatoriale. Spero davvero che l’uomo vinca sull’uomo per evitare il costituirsi di una società del post-umano.

Prof. Simone Fagioli

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