Kim Jong-un vuole davvero mandare a carte 48 lo storico summit con Donand Trump oppure sta cercando di aumentare il suo potere negoziale – provando a dividere Seul e Washington – prima di sedersi al tavolo delle trattative il prossimo 12 giugno a Singapore? Il nodo che rischia di far saltare il dialogo, eludendo gli sforzi diplomatici di Moon Jae-in e il clima disteso orchestrato da Xi Jinping, che sembravano essersi consolidati dopo il viaggio del Segretario di Stato Usa Mike Pompeo il quale aveva “riportato a casa” i tre detenuti americani dalla Corea del Nord, resta quello: la denuclearizzazione, rimasto un punto vago nella dichiarazione di Panmunjom.La vera questione è che la Corea del Nord, il cui obiettivo è la sopravvivenza del regime e il riconoscimento dello status di potenza nucleare, non ha nessuna intenzione di rinunciare al suo arsenale, come anticipato dagli analisti interpellati da Agi, mentre per Trump lo smantellamento dell’arsenale è l’unico tema da portare al tavolo negoziale; tema che oggi il regime nord-coreano accusa gli Stati Uniti di voler perseguire in modo “unilaterale”.Bufera sulla proposta del consigliere per la Sicurezza John Bolton di seguire il “modello libico” per il disarmo nord-coreano: la morte dell’ex leader libico, Muammar Gheddafi, è esattamente lo scenario che Pyongyang vuole scongiurare, spesso usato dal Nord come giustificazione per il mantenimento del proprio programma nucleare.
Cosa è successo
“Il presidente Donald Trump è ancora pronto a incontrare il leader nord-coreano Kim Jong Un”, ha dichiarato l’addetta stampa della Casa Bianca, Sarah Sanders. Gli Stati Uniti sono ancora “fiduciosi”, ha aggiunto a Fox News, di continuare il percorso di dialogo con Kim. La Corea del Nord ha annullato i dialoghi inter-coreani previsti mercoledì 16 maggio e ha messo in discussione il summit tra il leader nord-coreano, Kim Jong-un, e il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, previsto per il 12 giugno prossimo a Singapore.Il primo vice ministro degli Esteri, Kim Kye-gwan, in un comunicato diffuso dall’agenzia di stampa nord-coreana, la Korean Central News Agency, nella tarda mattinata di mercoledì, ora locale, ha dichiarato di potere “riconsiderare” l’idea di avere un summit con gli Stati Uniti se Washington insisterà sull’abbandono “unilaterale” delle armi nucleari da parte di Pyongyang.
Retroscena
I toni sono sensibilmente mutati rispetto al tenore del summit inter-coreano del 27 aprile scorso quando Kim promise l’ingresso in una “nuova era” nella cooperazione.Le cose sono due: o Kim sta mettendo alla prova gli Stati Uniti per capire se possa ottenere concessioni (non parlare solo di disarmo), oppure è intenzionato a uscire dai colloqui, scrive il Time.E non sarebbe neanche la prima volta: Kim, come suo padre e suo nonno, eccelle nella brinkmanship, il piano adottato per la prima volta da Kennedy nella crisi cubana: portare l’avversario sull’orlo del burrone per vedere chi per prima si ritrae.Se l’amministrazione Trump, duramente provata dall’escalation missilistica culminata con il test nucleare del settembre scorso, l’ultima minaccia prima che Kim aprisse al dialogo, ha più volte ribadito che l’opzione militare è sempre sul tavolo, il presidente americano ha detto che avrebbe “abbandonato pacificamente” i colloqui qualora avessero imboccato una direzione sgradita. Il nodo gordiano difficile da tagliare è sempre lo stesso: Usa e Corea del Nord intendono la denuclearizzazione in modo opposto. “Pyongyang non accetterà mai le condizioni che Trump vuole dettare per un completo smantellamento nucleare”, dice Fiori, professore associato di storia e istituzioni dell’Asia all’università di Bologna, autore de Il nido del falco: mondo e potere in Corea del Nord (Le Monnier, 2016) Trump, dice il professore, sbaglia se pensa che i nord-coreani possano rinunciare completamente all’arsenale nucleare in cambio di qualche soldo. “E’ palese che Pyongyang non cederà mai il know-how che ha acquisito. Sono sicuro che Kim non abbia mai inteso procedere al completo smantellamento, ma al contrario voglia mantenere dei margini di manovra così da poter riprendere la proliferazione e tornare allo stesso livello ottenuto precedentemente alle eventuali concessioni”.
Le ipotesi
Fiori non esclude che la leadership nord-coreana, in linea con i predecessori, avesse già una strategia pronta, con l’obiettivo di avvicinarsi a Seul trasmettendo un messaggio di pacificazione e l’immagine di una Corea rinnovata, avendo però già chiara la volontà di non andare oltre nel momento in cui gli americani si fossero mostrati pronti a ricucire i rapporti. Durante la presidenza Bill Clinton, che nel 1994 aveva raggiunto un accordo con la Corea del Nord (definitamente sfumato nel 2002), volendo favorire un clima positivo per i negoziati, le esercitazioni militari congiunte vennero sospese per un anno in cambio della promessa da parte della Corea del Nord di mettere in stallo in lancio di un missile di media gittata, che era già in agenda. “E’ chiaro che le esercitazioni danno realmente fastidio alla Corea del Nord in prossimità ad aventi storici”, commenta Fiori. Anche in questo caso, ci troviamo di fronte a uno scoglio nato da una opposta percezione della questione. “Per Washington, che vede nella Corea del Nord una minaccia consistente, le esercitazioni con Seul sono a scopo difensivo nei confronti dell’alleato del Sud. Per Pyongyang, invece, non sono prove di difesa ma di attacco e di decapitazione del regime”, spiega il professore. La vera questione al momento è capire se la mossa di Kim abbia l’obiettivo di ottenere concessioni prima del summit, e non parlare solo di nucleare come invece vorrebbero gli americani, oppure se sia “il tentativo di sfilarsi dal dialogo perché Trump ha scoperto il suo gioco, cioè che non vuole rinunciare all’arsenale”.(fonte agi.it)
a cura di Giuseppe Catapano