26 Aprile 2024, venerdì
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I leader prendono tempo e tramano una sorpresa

“Sarà troppo presto per decidere sui nomi”: queste parole, una pietra tombale, stanno nella lettera che il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy ha mandato ai leader dei 28, prima del Vertice informale di martedì sera 27 maggio: da quella cena, a meno di 48 ore dall’apertura delle urne delle elezioni europee, non uscirà di sicuro il nome del nuovo presidente ‘in pectore’ della Commissione europea.

Era stata la cancelliera tedesca Angela Merkel a smorzare, nei giorni scorsi, l’ipotesi di un accordo ‘sul tamburo’ per la presidenza della Commissione. La riunione del 27 sarà solo un giro di tavolo, l’inizio di un processo. E si parlerà pure – avverte Van Rompuy- di Ucraina e delle crisi in atto. “Prima di arrivare alle decisioni – aveva avvertito la cancelliera – ci vorranno diverse settimane”.

Il nuovo presidente della Commissione europea, che sostituirà il portoghese Manuel Barroso, deve entrare in carica il 1° novembre per cinque anni. A indicarne il nome, saranno i capi di Stato e/o di governo dei 28, tenendo conto dei risultati delle elezioni. Il Parlamento europeo dovrà poi votarne, al più presto a luglio, l’investitura; oppure, bocciarlo.

La volontà degli elettori e la voglia dei leader
Cinque partiti europei hanno espresso un loro candidato alla testa dell’Esecutivo di Bruxelles: il Ppe punta su Jean-Claude Juncker, ex premier lussemburghese ed ex presidente dell’Eurogruppo; il Pse su Martin Schulz, tedesco, da vent’anni al Parlamento europeo, presidente uscente dell’Assemblea di Strasburgo; i liberali su Guy Verhofstadt, ex premier belga, federalista convinto; la sinistra radicale ed euro-critica su Alexis Tsipras, greco, leader di Syriza; i verdi sul duo Ska Keller, ecologa tedesca, e José Bové, anti-globalizzazione francese.

Per la Merkel, i leader dei 28 faranno “tutto il possibile” per rispettare la volontà degli elettori, ma ci possono essere difficoltà a farlo. Una battuta che molti leggono come un mettere le mani avanti: se Ppe e Pse escono dal voto quasi alla pari, quanto a seggi a Strasburgo, allora il Consiglio europeo potrebbe ipotizzare un’alternativa a Schultz e a Juncker, che si eliderebbero a vicenda.

È uno scenario che non piace, ad esempio, al ministro degli Esteri italiano Federica Mogherini, che vuole che le famiglie politiche rispettino il patto cogli elettori sulla presidenza della Commissione. Altrimenti, dice, i cittadini “verranno a Bruxelles a dare l’assalto al Palazzo d’Inverno” dell’Ue.

La spilla ‘Io voto’ e il Palazzo d’Inverno dell’Ue
Un rischio non solo metaforico, nel clima attuale. Chi come me va in giro in questi giorni portando appuntata sul bavero della giacca una spilla con su scritto ‘Io voto, elezioni europee, 22/25 maggio 2014’ – in inglese, come se dirlo in italiano stonasse – si attira domande imbarazzanti e molti sguardi tra il commiserevole e l’astioso. Eppure la spilla non è vistosa: nera e grigia, colori da crisi. Dimensioni a parte, pare concepita per passare inosservata.

Le domande, in realtà, imbarazzano chi la fa, non chi le riceve: “Quali elezioni?, per che cosa si vota?”. Gli sguardi sono di alcuni dei molti euro-scettici, sansepolcristi o più spesso dell’ultim’ora, che si trovano in giro di questi tempi, in tv e nelle piazze.

Sottintendono disprezzo per uno che vota per l’euro e per il rigore, per l’Europa delle banche e ‘alla tedesca’, per l’eurocrazia e la burocrazia. Invece di vedere uno che vota per la solidarietà, l’accoglienza, la crescita, il lavoro, anche per l’euro certo; e per la pace e per la libertà, che l’integrazione ha consolidate e allargate.

Se questa è l’aria, chiaro che farsi beffe del voto degli elettori e tirare fuori dal cilindro del Vertice il coniglio d’un presidente ‘a sorpresa’ sarebbe mal percepito dall’opinione pubblica. 

E l’Italia ha motivo di preoccuparsene, perché la presidenza di turno italiana del Consiglio dell’Ue, che inizierà il 1° luglio, avrà un ruolo importante “per assicurare una transizione normale” in una fase delicata: in pochi mesi, cambieranno gli assetti di tutte le maggiori Istituzioni europee, l’intero Parlamento, l’intera Commissione, il presidente del Consiglio europeo e l’alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune.

Ostacoli sulla via della presidenza italiana
Senza esperienza europea, il premier Renzi e la sua squadra hanno un compito difficile. E non li avvantaggia presentarsi al via della presidenza con un fardello di 114 contenziosi aperti con l’Ue, dieci in più in soli tre mesi – cifre ufficiali, del Dipartimento delle Politiche europee-: 22 sull’ambiente, 16 sui trasporti, 13 su fiscalità e dogane, e poi salute, sociale e via via gli altri settori. Ben 41 le procedure sugli aiuti di Stato.

Se i leader dei 28 dovessero uscire dal seminato dei candidati in lizza, allora tutte le ipotesi finora fatte andrebbero riviste. Oppure, potrebbero pure risalire le quotazioni di candidati apparentemente senza speranza, come il liberale Verhofstadt. Ma è difficile che si delinei un’ipotesi italiana: fin quando alla Bce c’è Mario Draghi, il tricolore non sventolerà sul Berlaymont, la stella di cristallo che ospita la Commissione.

In questo contesto, anche la scelta del prossimo commissario europeo italiano, la cui designazione spetta al governo italiano, potrebbe riaprirsi, dopo che molti indicavano Massimo D’Alema come grande favorito, anche se l’ex premier non s’è mai sbilanciato in tal senso. 

Matteo Renzi, che ha già mostrato dosi di spregiudicatezza nel fare cose diverse da quelle dette, potrebbe anteporgli un altro ex premier, Enrico Letta, oppure l’attuale sottosegretario agli Affari europei Sandro Gozi. 

E c’è chi pensa che un ottimo commissario potrebbe essere il predecessore di Gozi, Enzo Moavero Milanesi. Ma le ragioni della politica e quelle della competenza non sempre vanno di pari passo. 

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