25 Aprile 2024, giovedì
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Strasburgo costa all’Italia 174 euro al secondo, ma lavora poco e male

Festina lente (affrettati lentamente) diceva un adagio degli antichi romani. Duemila anni dopo, l’Europa di Bruxelles se n’è appropriata e lo applica alla lettera. Prendiamo il Parlamento europeo. Per rinnovarlo, si vota il 25 maggio in 28 Paesi. Ma fino a dicembre non si muoverà neppure una foglia, poiché serviranno ben sette mesi per completare tutti gli adempimenti formali previsti dai trattati europei per insediare la nuova governance. Il confronto con gli Stati Uniti è umiliante: a novembre si vota per scegliere il nuovo presidente Usa, e il 20 gennaio, questi, giura per dare inizio al proprio mandato. Davanti a simili lungaggini, c’è poco da meravigliarsi se l’Europa viene sentita sempre più come un’entità politica lontana dalla gente comune, per non dire ostile: inetta di fronte alla crisi economica, e capace solo di imporre veti assurdi mentre sperpera fior di miliardi in privilegi. Il calendario degli adempimenti parla da solo. I 751 deputati eletti al Parlamento europeo si riuniranno nei primi giorni di luglio per l’insediamento del nuovo presidente e formare le nuove commissioni. Subito dopo, i capi di Stato e di governo dei 28 paesi membri dell’Unione europea, riuniti nel Consiglio europeo, sceglieranno il presidente della Commissione Ue, che, in base al Trattato di Lisbona (2009), dovrà appartenere al partito che vincerà le elezioni. In corsa ci sono il socialdemocratico tedesco Martin Schultz (divenuto celebre grazie a Silvio Berlusconi, che lo definì «kapò») e il popolare lussemburghese Jean Claude Juncker, gradito dalla cancelliera Angela Merkel. Che gli elettori europei, italiani inclusi, si scaldino per simili candidati – sconosciuti ai più – è un’ipotesi da fantapolitica. Poi, sempre con calma, prendendosi un altro mese, il Parlamento europeo procederà poi alla ratifica dell’uomo scelto per guidare la Commissione Ue in sostituzione di Josè Barroso. Così, a fine luglio, il nuovo presidente Ue potrà scegliere i 28 commissari, uno per Paese, che faranno parte del suo esecutivo. A settembre, dopo le ferie estive, il Parlamento vorrà conoscere di persona i singoli candidati agli incarichi di commissario, con apposite audizioni che dureranno fino alla fine di ottobre. Per quella data, come prevede Rony Hamaui sul sito lavoce.info, finalmente il Parlamento concederà la fiducia alla nuova Commissione Ue, che entrerà in carica il primo novembre, salvo un ulteriore slittamento dovuto alla mancanza di una chiara maggioranza politica. Un’ipotesi sempre più concreta se si pensa che né il Partito popolare né quello socialdemocratico potrebbero raggiungere la maggioranza del 51 per cento a causa del dilagare delle liste euroscettiche e anti-euro. In tal caso, si imporrà un negoziato politico per una maggioranza di larghe intese anche in Europa, con tempi imprevedibili. Tutto finito? Niente affatto. L’ultimo atto prevede che i capi di Stato e di governo dovranno nominare il presidente del Consiglio europeo che li riunisce, e questo avverrà il primo dicembre. Una data chiave:  soltanto con l’entrata in carica del nuovo presidente del Consiglio dei capi di Stato e di governo potrà finalmente avere inizio la nuova legislatura dell’Unione europea, che durerà quattro anni. Quale sia in concreto il programma di governo dei popolari, oppure dei socialdemocratici, è un mistero. A parte le giaculatorie sulla necessità di rilanciare la ripresa, nessuno dei partiti in lizza sembra porsi il problema di semplificare in modo radicale una costruzione barocca che viaggia a passo di lumaca, ma costa più di una vettura di formula uno. Il Parlamento europeo rimane aperto e lavora appena quattro giorni al mese. Ogni deputato, sommando l’indennità (8 mila euro), le spese generali (4.299 euro), il gettone di presenza di 304 euro al giorno, più rimborsi vari, arriva a una media di 18-19 mila euro al mese. E Mario Giordano nel suo ultimo libro («Non vale una lira»; Mondadori), ha calcolato che l’Europa rappresenta un costo secco per l’Italia, pari a 174 euro al secondo. Come sia giunto a questo risultato, è presto detto: nel 2013 l’Italia ha versato nelle casse dell’Unione europea poco meno di 15 miliardi di euro e ne ha incassati poco più di 9, con una differenza di 5,7 miliardi. Facendo le debite divisioni, significa un costo (o una perdita) di 174 euro al secondo, che salgono a 10.464 euro al minuto, a 627.853 in un’ora, e a 15 milioni in un giorno. E il 2013 non è stata affatto un’eccezione: l’Italia ha perso 5,2 miliardi nel 2012, addirittura 7,4 nel 2011, altri 6,5 nel 2010, altri 7,2 nel 2009, e così via. In dieci anni, la differenza tra quanto l’Italia ha versato all’Europa (159 miliardi) e quanto ha ricevuto (104 miliardi) è stata di 55 miliardi, con una media di 5,5 miliardi l’anno Un affare pessimo per l’Italia, ma dare la colpa solo alla burocrazia europea non regge. Nel conto si deve mettere anche l’incapacità dei politici e della burocrazia di casa nostra, che sono riusciti a utilizzare solo il 50,1 per cento dei fondi strutturali europei, stanziati per il periodo 2007-13. Erano 27,9 miliardi, e ne abbiamo usati soltanto 14 per la cronica mancanza di progetti validi, soprattutto a livello regionale. Un’ultima annotazione. Oggi i giornali parlano di «Europa avara» con l’Italia, e spiegano che la Commissione Ue guidata da Barroso sta obbligando il nostro Paese a rispettare il vincolo del pareggio strutturale, previsto dal Fiscal compact, con una severità totale. Ragion per cui l’Italia non potrà avere nei prossimi anni una crescita tale da ricondurre la disoccupazione al di sotto dell’11 per cento. Un avvertimento che arriva proprio quando la disoccupazione ha raggiunto il 13 per cento, un dato che il premier Matteo Renzi ha definito «allucinante». Non avendo responsabilità per il passato, può dirlo. Ma ben più «allucinante» è un’Europa così lontana dai problemi della gente comune. E cambiarla, ora è anche compito suo.

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