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Mobilità e neutralità ai fini assunzionali

Ai sensi del comma 1 dell’art. 30 del Dlgs n. 165/2001 (modificato dall’art. 16, comma 1, lett. a), della legge n. 246/2005, come sostituito dall’art. 49, comma 1, del Dlgs n. 150/2009), le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante cessione del contratto di lavoro di dipendenti appartenenti alla stessa qualifica in servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento. Le amministrazioni devono in ogni caso rendere pubbliche le disponibilità dei posti in organico da ricoprire attraverso il passaggio diretto di personale da altre amministrazioni, fissando preventivamente i criteri di scelta. Il trasferimento è disposto previo parere favorevole dei dirigenti responsabili dei servizi e degli uffici cui il personale è o sarà assegnato sulla base delle professionalità in possesso del dipendente in relazione al posto ricoperto o da ricoprire. In tale procedura, come chiarito dal dipartimento della Funzione pubblica, con la nota n. 10395, del 1° marzo 2013, il trasferimento per mobilità è disposto dal titolare dell’ufficio competente, secondo l’organizzazione definita dalla singola amministrazione, e l’assenso da parte dell’amministrazione cedente è un presupposto imprescindibile.

Secondo il disposto di cui al successivo comma 2-bis del predetto art. 30 (comma aggiunto dall’art. 5, comma 1-quater, del Dl n. 7/2005, come convertito dalla legge n. 43/2005, successivamente modificato dall’art. 1, comma 19, del Dl n. 138/2011, convertito, con modifiche, dalla legge n. 148/2011), le amministrazioni, prima di procedere all’espletamento di procedure concorsuali, finalizzate alla copertura di posti vacanti in organico, devono attivare le procedure di mobilità di cui al comma 1, provvedendo, in via prioritaria, all’immissione in ruolo dei dipendenti, provenienti da altre amministrazioni, in posizione di comando o di fuori ruolo.

In un tale ambito normativo, di preliminare, obbligatoria attivazione delle procedure di mobilità, è stata posta la problematica se le stesse possano essere considerate neutre rispetto alle facoltà assunzionali usufruibili dalle pubbliche amministrazioni locali e se sia ancora possibile la c.d. mobilità per interscambio.

Tali tematiche sono state affrontate dalla sezione di controllo per il Veneto della Corte dei conti, nel parere n. 65 del 4 febbraio 2013. La Corte ha ritenuto che ai sensi del Dlgs n. 165/2001, ed in particolare del disposto di cui all’art. 6, comma 1, l’istituto della mobilità vada visto come un ottimale strumento di distribuzione del personale in relazione alle esigenze della amministrazioni pubbliche; infatti, ancor prima di ricorrere a procedure di reclutamento del personale, deve necessariamente essere attivato l’istituto della mobilità, in un contesto di rigide norme vincolistiche in materia di assunzioni, al fine di limitare il turn over del personale, reiterando, nel contempo le disposizioni atte a regolare, al meglio, l’ottimale distribuzione del personale già in servizio, i cui oneri non determinano incrementi della relativa spesa, a livello di comparto.
In tal senso, l’art. 1, comma 47, della legge n. 311/2004, ha previsto che “in vigenza di disposizioni che stabiliscono un regime di limitazione alle assunzioni di personale a tempo indeterminato, sono consentiti trasferimenti per mobilità, anche intercompartimentale, tra amministrazioni sottoposte al regime di limitazione, nel rispetto delle disposizioni sulle dotazioni organiche e, per gli enti locali, purché abbiano rispettato il patto di stabilità interno per l’anno precedente”.

Peraltro, il Dl n. 95 /2012, come convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, all’art. 14, comma 7, ha stabilito che “le cessazioni dal servizio per processi di mobilità, nonché a seguito dell’applicazione della disposizione di cui all’art. 2, comma 11, lett. a) (relativa ai c.d. esodati), non possono essere calcolate come risparmio utile per definire l’ammontare delle disponibilità finanziarie da destinare alle assunzioni o il numero delle unità sostituibili in relazione alle limitazioni del turn over”. Con detta disposizione, come evidenziato dalla Corte dei conti nel predetto parere n. 65/2013, il legislatore ha confermato l’orientamento interpretativo che le sezioni riunite della stessa Corte avevano assunto con la deliberazione n. 53/2010/CONTR, circa la c.d. neutralità finanziaria che deve conseguire dall’espletamento delle procedure di mobilità del personale, in relazione all’operatività dei vincoli assunzionali ai quali sono soggette le pubbliche amministrazioni locali.

In tale deliberazione, le sezioni riunite avevano precisato che “poiché l’ente che riceve personale in esito alle procedure di mobilità non imputa tali nuovi ingressi alla quota di assunzioni normativamente prevista, per un ovvio principio di parallelismo e al fine di evitare a livello complessivo una crescita dei dipendenti superiore ai limiti di legge, l’ente che cede non può considerare la cessazione per mobilità come equiparata a quelle fisiologicamente derivanti da collocamenti a riposo”. In un siffatto contesto normativo, “relativamente agli enti locali non sottoposti al patto di stabilità interno, nei confronti dei quali operano i vincoli in materia di assunzione previsti dall’art. 1, comma 562, della legge n. 296/2006, le cessioni per mobilità volontaria possono essere considerate come equiparabili a quelle intervenute per collocamento a riposo nella sola ipotesi in cui l’ente ricevente non sia a sua volta sottoposto a vincoli assunzionali”.

In un tale ambito – caratterizzato dalla centralità dello strumento della mobilità, in cui, come puntualizzato dal dipartimento della Funzione pubblica nella nota n. 1373 del 19 marzo 2010, “la mobilità è uno strumento che non risponde solo all’interesse dell’amministrazione che vi ricorre, ma garantisce una più razionale distribuzione delle risorse tra le amministrazioni pubbliche, nonché economie di spesa di personale complessivamente intesa, dal momento che consente una stabilità dei livelli occupazionali nel settore pubblico” – la sezione Veneto della Corte dei conti, nel precitato parere n. 65/2013, ha ritenuto che l’avvenuta abrogazione della disposizione contrattuale di cui all’art. 6, comma 20, del Dpr n. 268/1987, ai sensi dell’art. 62 del Dl n. 5/2012, come convertito dalla legge n. 35/2012, non precluda alle amministrazioni locali la facoltà di attivare una mobilità reciproca o bilaterale con altre amministrazioni locali, in applicazione del principio generale contenuto nell’art. 6 del Dlgs n. 165/2001. Tuttavia, il ricorso a detta procedura deve essere accompagnato da una serie di cautele tese ad evitare che possano essere elusi i rigidi vincoli imposti dal legislatore in materia di riduzione della spesa e di turn over, per cui la mobilità deve avvenire tra dipendenti appartenenti alla stessa qualifica funzionale; l’interscambio deve avvenire, altresì, entro un periodo di tempo congruo (contestualità), che consenta agli enti di non abbattere le spese di personale (derivanti dalla cessione del contratto del dipendente transitato in mobilità ad altro ente) qualora l’assunzione del dipendente in entrata slitti dal punto di vista temporale, rischiando di traslarsi all’esercizio successivo; occorre, anche, garantire la neutralità finanziaria e il personale soggetto ad interscambio non deve essere stato dichiarato in eccedenza o in sovrannumero.
La stessa sezione regionale di controllo per il Veneto della Corte dei conti si è espressa con la deliberazione n. 357 del 19 novembre 2013, circa la neutralità delle assunzioni per mobilità, effettuate da un ente locale, ritenendo che la mobilità possa essere configurata in termini di neutralità di spesa (e, quindi, non assimilabile ad una assunzione o dimissione dal rapporto di lavoro), solo se intervenga tra amministrazioni, entrambe, sottoposte a dei vincoli assunzionali. Il requisito per riconoscere il carattere di neutralità di una procedura di mobilità è costituito dalla sussistenza o meno di un regime vincolistico, in materia di assunzione di personale, per gli enti coinvolti nella procedura. Diverso è, invece, il caso in cui l’ente sottoposto a limitazioni dia l’assenso al trasferimento di un proprio dipendente presso amministrazioni non soggette a vincoli assunzionali. In questo caso, infatti, “per l’ente ricevente, la mobilità in entrata si configura a tutti gli effetti come ingresso di una nuova unità di personale, risultato che potrebbe essere alternativamente ottenuto attraverso il ricorso alle normali procedure di reclutamento, non ponendosi il problema dell’imputazione del trasferimento ad un non previsto contingente di nuove assunzioni”.

Pertanto, la mobilità intercompartimentale tra un ente locale soggetto al rispetto del patto di stabilità e un ente del Servizio sanitario nazionale, afferente ad una regione non soggetta all’attuazione di un piano di rientro dal disavanzo sanitario, non può essere configurata in termini di neutralità.

In un tale contesto normativo ed interpretativo, è stato chiesto, altresì, se fosse possibile procedere alla copertura di posti rimasti vacanti, recuperando le mobilità in uscita, attraverso l’istituto della mobilità in entrata; quale fosse l’anno di decorrenza che consente il recupero della mobilità e se le mobilità in uscita possano essere coperte nel medesimo anno in cui si verificano oppure occorre attendere l’anno successivo. La risposta a tali quesiti è stata data dalla sezione regionale di controllo per la Lombardia della Corte dei conti, con il parere n. 304 del 20 giugno 2012.

Preliminarmente è necessario richiamare, come peraltro già sopra chiarito, quanto affermato nel precitato parere del dipartimento della Funzione pubblica n. 13731 del 19 marzo 2010, secondo il quale la mobilità, pur rappresentando sempre uno strumento finanziariamente da privilegiare, si configura in termini di neutralità di spesa solo se si svolge tra amministrazioni entrambe sottoposte a vincoli in materia di assunzioni a tempo indeterminato. In tal caso, non si qualifica come assunzione da parte dell’amministrazione ricevente. Ne discende che la stessa non è computabile come cessazione, sotto l’aspetto finanziario, da parte dell’amministrazione cedente.

D’altra parte, la sezione delle autonomie della Corte dei conti, con la deliberazione n. 21 del 9 novembre 2009, ha chiarito che la mobilità di personale in uscita comporta, a seguito del trasferimento, che il rapporto di lavoro prosegua con un altro datore di lavoro, per cui l’amministrazione cedente può solo beneficiare, in termini di risparmio di spesa, dell’avvenuta cessione del contratto, spesa che rimane inalterata in termini globali nell’ambito dell’intero settore pubblico. Corrisponde ad un principio di carattere generale, peraltro, che per effettiva cessazione debba intendersi il collocamento di un soggetto al di fuori del circuito di lavoro, con conseguente venir meno della retribuzione, caratteristica che non si attaglia al fenomeno della mobilità.

Conseguentemente, in conclusione, secondo l’orientamento di cui al precitato parere n. 304/2012 della sezione Lombardia, le situazioni ipotizzabili in tema di mobilità sono le seguenti: 1) se la copertura dei posti resisi vacanti dalla procedura di mobilità in uscita avviene mediante il recupero delle unità di personale con mobilità in entrata, l’operazione non incontra alcun limite di natura finanziaria ed è perfettamente legittima; 2) se la copertura avviene mediante assunzioni di personale dall’esterno, occorre preliminarmente verificare se la mobilità in uscita è avvenuta o meno verso ente soggetto a disciplina limitativa delle assunzioni: 2A) nel primo caso (neutralità finanziaria), la mobilità non determina una cessazione per il comune che, pertanto, non potrà tenerne conto in relazione all’art. 1, comma 562, della legge n. 296/2006 (assunzioni nel limite delle cessazioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato complessivamente intervenute nel precedente anno); 2B) in caso di mobilità in uscita verso ente non soggetto a limiti assunzionali, si configurerà una vera e propria cessazione dal servizio, equiparabile ad un collocamento a riposo ed in quanto tale rilevante ai sensi dell’art. 1, comma 562, della legge n. 296/2006.

In tutti i casi sopra esposti, è, comunque, sempre necessario che l’ente ricevente: a) rispetti il parametro del rapporto tra spesa di personale e spesa corrente ai sensi dell’art. 76, comma 7, del Dl n. 112/2008, come sostituito dall’art. 14, comma 9, del Dl n. 78/2010, convertito con modifiche dalla legge n. 122/2010; b) rispetti il limite della spesa complessiva del personale; c) risulti in linea con le regole dettate dal patto di stabilità interno.

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