18 Aprile 2024, giovedì
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Un’alleanza per il buon lavoro

La qualità del lavoro, la possibilità che questo rappresenti un’occasione di realizzazione e crescita per la persona non può essere tema ancillare all’interno di una riflessione sul lavoro. Il concetto di qualità del lavoro, infatti, racchiude in sè sia il valore del riconoscimento e della prospettiva professionale di ogni persona ma anche la condizione principale e prioritaria per garantire serie capacità di competizione economica al nostro paese all’interno della società della conoscenza.
In 10 anni (1995/2005) sono passati dal 29% al 42% i lavoratori della conoscenza in Italia (Butera – 2008) e, soprattutto per le limitate dimensioni d’impresa, sono oltre l’80% le competenze tecnico professionali reperite “all’esterno” delle imprese (Rullani – 2004).
Probabilmente per l’intero sistema economico rendere più produttivo e regolare il knowledge work sarà il grande compito di questo secolo, proprio come quello di rendere produttivo e tutelare il lavoro manuale fu il compito del secolo scorso.
La possibilità di svolgere il proprio lavoro con un margine di autonomia, l’incoraggiamento e la valorizzazione dell’iniziativa dei singoli, così come una modalità di svolgimento della prestazione che permetta la coscienza del progetto complessivo e che valorizzi i saperi dei lavoratori possono rendere il lavoro più umano e insieme efficace. Si tratta di temi che attengono ad un’organizzazione del lavoro sempre più articolata e diversificata tra esterno ed interno: una questione dirimente che deve diventare oggetto di contrattazione fra le parti sociali e tra queste lo stato e il sistema delle autonomie.
In questo quadro è essenziale un forte aggiornamento delle regole e delle tutele sociali interne ed esterne al lavoro. Si dovrà aprire una nuova stagione di regolazione dei riconoscimenti professionali, degli strumenti di certificazione delle competenze acquisite sul lavoro, della protezione dei diritti d’autore dei brevetti e delle invenzioni, di progressione di carriera legata a meriti e aggiornamenti professionali.
Serviranno nuove regole di protezione del lavoro soprattutto dei giovani professionisti legate anche, ad esempio, all’accesso al credito, a percorsi formativi e di aggiornamento, alla certificazione delle competenze, alla regolazione dei tempi di pagamento e al sostegno nella fase di start up. Così come, in questo quadro, dovranno necessariamente essere corretti i comportamenti delle parti sociali se si vorrà ancora avere una regolazione collettiva del lavoro in questo nostro paese con una definizione di compensi equi che non mortifichino e penalizzino il lavoro intellettuale o che consentano di svolgere correttamente la propria attività in modo autonomo oppure, ancora, con tutele sociali universali in caso di malattia, maternità, infortuni, perdita del lavoro.
Per raggiungere questi obbiettivi diventa essenziale l’alleanza tra lavoratori con caratteristiche professionali elevate e fortemente identitarie, come i professionisti e i lavoratori della conoscenza, i lavoratori del terziario tradizionale e del settore pubblico, i lavoratori delle piccole imprese e quelli delle filiere e del lavoro subordinato tradizionale, è un obiettivo primario per valorizzare le aggregazioni costruite sull’identità professionale, per la trasformazione dei modelli contrattuali e la valorizzazione del lavoro, delle competenze comunque si esprimano.
Per questo, a partire dalla Consulta del Lavoro Professionale e dall’indicazione di una contrattazione inclusiva, la CGIL sta provando convintamente a recuperare i ritardi e a modificare i propri comportamenti con alcuni successi ed esempi sia contrattuali che organizzativi già realizzati.
Consegno, quindi, alla riflessione alcune delle proposte concrete che abbiamo elaborato insieme ai lavoratori interessati e alle loro Associazioni e che abbiamo chiamato “decalogo dei diritti dei professionisti” con l’obiettivo di migliorare la condizione di lavoro e valorizzare le professionalità presenti in questo mondo e garantire le tutele sociali a tutti i lavoratori indipendentemente dalle loro modalità di lavoro.
La prima indicazione riguarda il compito prioritario del sindacato che è quello della negoziazione collettiva senza appoggiarsi unicamente all’azione legislativa. La CGIL vuole, infatti, affidare alla contrattazione un ruolo decisivo per affrontare questa emergenza facendosi carico della ricerca delle possibili soluzioni.
L’indicazione è che si definisca, quando possibile, nei CCNL o in appositi protocolli tra le parti, una area/sezione per il lavoro autonomo e parasubordinato.
A livello contrattuale andranno quindi definiti, per i lavoratori autonomi e parasubordinati, i diritti, i compensi equi in base alle loro professionalità, le corrette modalità d’impiego, le tutele sociali. Tutele e regole definite in modo specifico senza cedere alla tentazione di riprodurre le stesse modalità di protezione dei dipendenti ma riequilibrando la possibilità di contrattazione individuale e di autonomia dentro un quadro di regole e di protezioni sociali dovute a tutti i lavoratori. Non solo. Tutele e regole condivise e definite su specifico mandato dei diretti interessati e/o in collaborazione con le loro associazioni professionali ove presenti.
In ambito previdenziale le partite iva individuali “esclusive” (coloro che versano solo alla Gestione Separata e non sono in Pensione), circa 200 mila persone attualmente iscritte alla Gestione Separata Inps, versano da sole il 27% del loro reddito, più di ogni altro contribuente autonomo.
Queste lavoratrici e lavoratori non godono di compensi equi garantiti che evitino, come avviene attualmente, di scaricare unicamente sui lavoratori tutto il costo previdenziale riducendo ulteriormente il loro reddito netto già poco consistente.
Un ulteriore aumento dell’aliquota porterebbe a favorire, paradossalmente, i tentativi di fuoriuscita dal sistema previdenziale pubblico con evidenti danni a tutto il sistema previdenziale.
In questa condizione, inoltre, non hanno una rivalsa obbligatoria che renda effettiva la possibilità di ripartire il peso contributivo con i committenti e, infine, non c’è equità delle prestazioni rispetto agli altri lavoratori.
Abbiamo chiesto e continuiamo a chiedere, assieme a tutte le principali associazioni dei professionisti, di bloccare anche per i prossimi anni l’aumento previsto e di fermare al 27% i contributi Inps per la suddetta platea perché sarebbe, politicamente e materialmente, un gesto importante di giustizia sociale e di attenzione verso lavoratori e lavoratrici altamente professionalizzati che contribuiscono fortemente all’equilibrio del sistema Inps (con oltre un miliardo di contributi versati ogni anno), che non hanno compensi equi.
Per questo chiediamo al Governo e al Parlamento di impedire questa ingiustizia ai danni di questa parte del lavoro autonomo e di approvare al più presto norme organiche di sostegno sociale e fiscale a favore di una parte molto importante del nostro mondo del lavoro.
L’indennità di Malattia, la maternità, i congedi parentali e l’indennità di disoccupazione vanno estese a tutti lavoratori e rese effettive rivedendo le modalità d’attuazione e di verifica dell’INPS che oggi scoraggiano o impediscono l’accesso a queste prestazioni sociali prevedendo, ad esempio, modalità come quelle usate per le lavoratrici autonome artigiane e commercianti in caso di maternità.
Sul piano fiscale è necessario ripristinare il regime dei contribuenti minimi introdotto dal Governo Prodi e poi ridotto fortemente da Tremonti estendendolo anche dopo i primi 5 anni. Si è passati, infatti, dagli oltre 600 mila contribuenti minimi del 2010, ai 57 mila circa a regime.
Questa sola misura, servirebbe ad aiutare almeno 500 mila persone a non chiudere l’attività e per molti a riaprirla. In questo caso, si riuscirebbe a dare un segnale alla parte più giovane e a quella più in sofferenza del lavoro autonomo facendo capire chiaramente, e con costi limitati, che si pensa anche a questa fascia del lavoro.
Vanno inoltre introdotti miglioramenti nella Legge 4 del 2013, vanno condivisi gli standard e le modalità di attestazione delle competenze all’interno del repertorio nazionale e regionale delle competenze, vanno inseriti meccanismi di protezione del lavoro professionale nelle gare d’appalto, vanno approvate leggi regionali sulle professioni sul modello già sperimentato in Toscana e Friuli.
Credo quindi che un’alleanza del lavoro possa, ognuno all’interno del proprio ruolo e nella propria autonomia, affrontare sfide e ottenere risultati importanti sia per valorizzare il lavoro professionale sia per innovare e rendere più giusto e più competitivo il lavoro del nostro paese.

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