18 Aprile 2024, giovedì
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Renzi alla prova dell’Irap e del cuneo. Cinquanta miliardi cercansi

Di buon mattino, verso le 7 e anche prima, ha twittato: “A Palazzo Chigi, al lavoro sui dossier più urgenti del governo”. Buongiorno. #lavoltabuona. E ha cominciato quindi a esaminare il capitolo del cuneo fiscale e dell’abbattimento dell’Irap. C’è da trovare subito almeno dieci miliardi per l”Irap, quella che il Cavaliere Silvio Berlusconi definiva l’Imposta Rapina e che, odiata da tutte le imprese, ha accorpato in una sola tassa ben sei diverse voci di entrata per le casse dello Stato, e bisogna mettere soldi anche nelle buste paga dei lavoratori con i redditi più bassi, quelli che trasformerebbero immediatamente le maggiori risorse mensili in un quantitativo aggiuntivo di acquisti. Per questo Matteo Renzi, al suo secondo giorno da premier nel pieno dei poteri, si è messo al lavoro, accolto dalla buona notizia, in parte attesa, del via libera di Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria, alllo scambio più volte proposto e mai diventato realtà: via gli incentivi alle industrie e al tempo stesso via l’Irap e giù il cuneo fiscale. Uno scambio che renderebbe di certo più veloce ed efficace l’azione dell’esecutivo, che potrebbe destinare una montagna di risorse al calo della pressione fiscale del costo del lavoro: secondo Francesco Giavazzi, economista e autore del rapporto che nel 2012 sotto il governo guidato da Mario Monti individuò in 30 miliardi la montagna annuale degli incentivi sui quali intervenire per finanziare la riduzione del cuneo fiscale, Renzi si troverà già pronto il menù delle misure e soprattutto delle risorse che si renderanno disponibili: “Il cuneo fiscale, ossia la differenza fra il salario lordo pagato dall’impresa e quello netto che va in tasca ai lavoratori dopo tasse e contributi, è il più grosso freno alla creazione di posti di lavoro in Italia, specie per i giovani. e per questo dobbiamo cercare almeno di abbassarlo al livello della media europea”, ha detto Giavazzi in una recente intervista. “Per farlo ci vogliono più o meno 50 miliardi di euro, soldi che si possono trovare. Fra 10 e 15 miliardi possono venire dal taglio dei contributi alle imprese di cui ci siamo occupati noi, altrettanti da quello alle detrazioni fiscali di Vieri Ceriani. E ci sono tante altre cose che si possono fare, a partire dai costi della politica, abolizione delle province comprese, dai cui possono arrivare altri 5 o 6 miliardi. Per finire con la chiusura degli enti inutili e la cessione delle aziende in perdita perenne possedute dagli enti locali”. Insomma, il compito è improbo ma tutt’altro che impossibile. E in questa partita Renzi ha davvero tutto l’appoggio dei sindacati, degli industriali e del suo partito, anche se il già segretario del Pd, Guglielmo Epifani, ha avvertito il premier: “Decisivo sarà il capitolo delle coperture finanziarie”, ha detto quasi per esorcizzare un altro esecutivo degli annunci soltanto in parte tradotti in realtà.

 

La prima giornata del premier tra scuola e promesse di taglio delle tasse

Poi, in mattinata, Renzi è arrivato a Treviso, per la sua prima visita alla scuola Luigi Coletti, ha promesso agli amministratori locali e al governatore veneto Luca Zaia che il patto di stabilità interno sarà modificato per renderlo più elastico e lanciare così anche il piano straordinario per l’edilizia scolastica e successivamente, in un incontro con gli industriali di Treviso, ha spiegato che l’intervento sull’Irap e sul cuneo fiscale sarà consistente: “Abbiamo fatto una discussione che parte da quanto detto in parlamento e che stiamo tuttora facendo. Se tu riduci l’irap, le aziende hanno immediatamente un elemento di concretezza economica”, ha spiegato il premier. “L’Irap vale oltre 30 miliardi: se metti 10 miliardi, riduci di un terzo l’imposta: è un’ipotesi. Se invece metti 10 miliardi sullo sgravio Irpef, è evidente che i lavoratori dipendenti si trovano in tasca qualche decina di euro al mese in più, ovviamente a seconda di qual è il monte massimo che puoi utilizzare. Non lo dai al dirigente della pubblica amministrazione, lo dai al dipendente, all’operaio”. Agli studenti il premier avrebbe detto (ai giornalisti non è stato consentito l’accesso all’istituto, che “bisogna seguire lo spread e i conti, ma un paese si salva solo se la scuola funziona”. Poi l’invito ai giovanissimi: “Se c’è qualcosa che non va, poi me lo segnalate a matteo@governo.it”.

La tassazione delle rendite.

Il fatto che il conto lo avrebbe pagato chi vive di rendite e non chi vive sul lavoro era già emerso nel pomeriggio, ad orecchie attente, durante il discorso per la fiducia alla Camera . Il sottosegretario alla presidenza del consiglio Graziano Delrio non si era mica sbagliato parlando con Lucia Annunziata. Tanto che nonostante la blanda smentita di palazzo Chigi, Renzi, durante il dibattito sulla fiducia (incassata senza sorprese con 378 sì, 220 no e un astenuto) lo ha ripetuto. Certo, lo ha fatto a modo suo; ma non per questo in maniera meno determinata. Il sindaco dice di doverlo a quel cassintegrato che gli ha detto: «Non ho il coraggio di guardare negli occhi mio figlio e trovo ingiusto che voi continuiate a dire che difendete una Costituzione di un Paese che si definisce una Repubblica democratica fondata sulla rendita, perché non è fondata sul lavoro, è fondata sulla rendita. Perché nel momento in cui voi continuate sempre con le solite persone non siete fondati sul lavoro. Io sono affondato sul lavoro, non fondato sul lavoro». È l’unica occasione in cui Renzi è sembrato mettere le mani avanti sulle possibili accuse di sentimentalismo. «È un elemento di un dibattito vero», ha tagliato corto. «Come rispondi a questa esigenza?», ha continuato. «Io credo avendo il coraggio di rivoluzionare il sistema economico e anche normativo del Paese».
Altri segnali in questa direzione sono giunti da autorevoli esponenti renziani. Come Filippo Taddei, responsabile economico del Pd, in un’intervista a Radio Popolare. “La revisione della tassazione sulle rendite finanziarie rimane sul tavolo del governo”, ha spiegato, “l’ipotesi che stiamo valutando in questo momento è se vale la pena tenere una tassazione differente per i titoli di Stato e gli investimenti che non siano titoli di Stato”, ha aggiunto. “Attualmente i primi sono tassati al 12,5% gli altri al 20%. Quello che ci stiamo chiedendo è se questa dualità del nostro sistema di imposizione abbia senso, consapevoli del fatto che se guardiamo all’esperienza europea questa dualità non esiste in Francia, né in Germania, Spagna, Gran Bretagna”. Secondo Taddei bisogna “spiegare al Paese, che se uno compra dei Bot viene tassato al 12,5% mentre se uno va a lavorare viene tassato almeno al 23%”. ma per entrare ancora di più nel merito occorreva ascoltare Radio Capital questa mattina. Ancora Taddei ha fatto un po’ di conti: pensiamo a un taglio del costo del lavoro per 8-10 miliardi. Un taglio del 10% dell’Irap, per due miliardi e mezzo. Il resto con la diminuzione dell’Irpef: per i redditi medio-bassi si tratterebbe di un taglio del 10% del carico fiscale che va poi a decrescere quanto cresce il reddito. Per un lavoratore che guadagna 1500 euro netti per tredici mensilità si avrebbe un guadagno di 500 euro netti all’anno in busta paga”. Le risorse arrivano “in gran parte” dalla revisione della spesa e dalla riduzione delle spese correnti “con risparmi per 6-7 miliardi nell’arco di 12 mesi”. “La parte rimanente verrà dalla rimodulazione delle rendite finanziarie. Stiamo lavorando su diverse ipotesi. L’Italia è l’unico grande paese europeo dove ci sono aliquote diverse su titoli di Stato che sono tassati al 12,5% e il resto delle rendite finanziarie. Noi pensiamo a una armonizzazione”. Quindi sui Bot saliranno le aliquote? “Armonizzare significa che alcune possono salire altre possono scendere ma non è il gioco delle tre carte, l’obiettivo è ridurre la tasse per chi lavora”. Un fatto è certo: l’armonizzazione non sarà di certo a saldo negativo per lo Stato.Lo stesso Delrio in un’intervista al Sole 24 Ore è tornato sull’argomento in maniera inequivocabile. “Vogliamo effettuare un taglio di tasse visibile sulle imprese perché queste riprendano fiducia e tornino a investire, e visibile sui lavoratori perché questi tornino a consumare. E siamo convinti, concentrando gli interventi di avere le risorse per poterlo fare”. A questo proposito, in merito alla questione della tassazione delle rendite finanziarie, Delrio ha detto che “vogliamo adeguare la tassazione agli standard Ue: niente bot, soltanto i grandi risparmiatori potranno pagare un po’ di più”.

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