25 Aprile 2024, giovedì
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La sponda Sud da non dimenticare

I recenti avvenimenti in Ucraina hanno spostato il focus internazionale, per lo meno quello europeo, ad Est. Certamente la crisi a Kiev cristallizza il dibattito intorno alla capacità dell’Unione europea di condurre una politica estera incisiva. Come avviene spesso, osserviamo una certa lentezza nella reazione europea che deve tenere conto di interessi contraddittori.

Triangolo di Weimar
Gli ultimi sviluppi hanno però visto la mobilitazione di Francia, Germania e Polonia che hanno inviato a Kiev i loro ministri degli esteri per cercare di favorire una transizione democratica alla crisi.

Al di là dell’efficienza di quest’azione bisogna rilevare alcune caratteristiche metodologiche. Il cosiddetto “triangolo di Weimar” è entrato in azione con un approccio tri-laterale che riesce anche a portarsi dietro l’insieme della posizione europea. Questo intervento comune avviene però pochi giorni dopo il consiglio dei ministri congiunto fra Francia e Germania.

Può sembrare un esercizio classico, l’ennesimo appuntamento della coppia franco-tedesca che auspica di lavorare insieme per il bene dell’Europa. Alcuni segnali indicano però un’evoluzione precisa. Dopo il travagliato periodo delle elezioni e della messa insieme della coalizione, il governo tedesco sembra non solo in grado di impegnarsi di nuovo sullo scenario europeo e internazionale, ma anche intenzionato a contribuire militarmente alla missione europea in Mali, come sollecitato da Parigi. E lo fa permettendo l’uso della brigata franco-tedesca che verrà dispiegata per la prima volta.

Anche se i 250 uomini della Bundeswher in rotta verso l’Africa non rappresentano una forza considerevole, siamo davanti a una svolta epocale: l’esercito tedesco interviene in un modo non completamente simbolico in Africa, a differenza delle partecipazioni precedenti alle missioni delle Nazione Unite con poche decine di soldati, e lo fa insieme con i francesi. Bisogna avere in mente l’importanza della constituency pacifista e la difficoltà nel fare accettare dal parlamento l’invio di truppe per prendere la misura del passo compiuto dai tedeschi.

Questa non è una decisione isolata, ma fa parte di un puzzle molto più complesso. Berlino vuole poter influire sulle riforme di Parigi, soprattutto in campo economico. Per farlo deve entrare in dialettica con la Francia, e sceglie quindi di farlo anche su un aspetto dolente per i francesi, il loro isolamento nei recenti interventi di sicurezza in Africa.

Questa riapertura del gioco con la Francia riguarda anche l’Ucraina. “Vi diamo una mano in Africa, ci spalleggiate all’est dell’Europa”, sembra questa la formula sulla quale si basa il patto fra Berlino e Parigi. Quindi via con la missione congiunta in Ucraina. Questi sviluppi sono senz’altri positivi, perché l’Europa si sta rimettendo in marcia sulla politica estera e di sicurezza.

Italia lontana
Si pone però la questione della posizione italiana, visto che Roma sembra lontana da queste dinamiche. I due ultimi governi non hanno sostenuto gli interventi a guida francese in Africa, sia nel Mali che in Centrafrica. Nelle fasi di combattimento non hanno dispiegato soldati visto che tale operazione poteva risultare delicata. Nella fase di ricostruzione il sostegno è stato timido: in Mali 14 militari italiani contribuiscono alla missione di formazione militare (Eutm).

C’è stato certamente il prevalere di una corrente pacifista che nel contesto di governi relativamente deboli ha portato a una posizione passiva. Bisogna però illustrare un paradosso. In Italia cresce l’attenzione verso l’Africa, vista come una zona povera verso la quale vano indirizzati sforzi di sviluppo. Le varie organizzazioni cattoliche sono molto attive in tal senso.

Inoltre la stabilità del continente, soprattutto quella dell’area sub-sahariana, è uno degli obiettivi internazionali condivisi dall’Italia, sapendo anche l’attenzione dell’alleato statunitense che punta a evitare lo sviluppo di zone terroristiche alle porte dell’Europa. L’Africa rappresenta infine una zona di “vicinato esteso” che concentra un groviglio di interessi nazionali italiani: dall’approvvigionamento energetico alla problematica dell’immigrazione fino alla lotta contro la pirateria.

Vecchia françafrique
Spesso gli interventi francesi in Africa vengono letti come frutto di una storia neo-coloniale, alimentando la riluttanza italiana. Ma la presidenza di François Hollande, proseguendo e ampliando l’azione di Nicolas Sarkozy, ha prodotto una netta evoluzione della politica africana francese, ormai molto più moderna e articolata della vecchia francafrique gaullista e mitterandiana.

Esiste quindi un’importante convergenza multilaterale sull’analisi di sicurezza in Africa fra i partner della Francia, il cui ruolo da leader leader spiega anche la considerazione dell’amministrazione Usa nei confronti di Parigi, ben illustrato nella recente visita di stato di Hollande a Washington.

Negli ultimi trent’anni, l’Italia ha compiuto un notevole salto di qualità come contribuente attivo nella sicurezza internazionale. Fra Balcani, Iraq, Afghanistan e Libano, Roma è apparsa come un attore militare spesso decisivo che giocava nella stessa categoria di Francia e Regno Unito, prima della Germania. Si tratta di un patrimonio considerevole che non va vanificato.

Oggi la partita in Ucraina illustra un rilancio dell’asse franco-tedesco. L’Italia non sembra potersi inserirsi direttamente in questa partita, anche se i suoi canali con la Russia rappresentano un asset diplomatico da non scartare, purché usati in coordinamento con i partner europei. Ma è sulla sponda sud dell’Europa che l’Italia può giocare un ruolo. Roma considera il Sud come potenziale fonte di minaccia (il rischio da Sud per dirla con Santoro), ed è tutt’ora militarmente presente sul continente africano. Può anche vantare un certo credito storico in una zona come il Corno d’Africa.

Sarebbe opportuno ridurre le divergenze fra l’ideale politico dello sviluppo del continente africano, gli interessi nazionali e di sicurezza in zona e la passività nell’uso degli strumenti militari.

Si tratterebbe inoltre di un modo estremamente efficiente per fare recuperare margini all’Italia nei giochi intra-europei, scenario di maggiore interesse per il paese. Così facendo, si può ambire ad unire lo sguardo a Sud dei colloqui mediterranei di Giorgio La Pira con la moderna promozione di un interesse collettivo in ambito europeo. Una visione che dovrebbe trovare consonanze nel nuovo governo.

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