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Carceri: dallo spazio vitale minimo deve essere scomputata l’area degli arredi – Cass. Pen. 5728/2014

Depositata il 5 febbraio 2014 la pronuncia numero 5728 della prima sezione penale relativa al calcolo dello spazio vitale minimo (3 metri quadri) alla luce dei parametri elaborati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo.

La vicenda prende il via quando un magistrato di sorveglianza del Tribunale di Padova ha accolto il reclamo di un detenuto relativamente alla doglianza inerente lo spazio disponibile all’interno della camera detentiva disponendo che le autorità competenti adottassero le determinazioni conseguenti, compresa la allocazione del reclamante in un altro locale di pernottamento che garantisse uno spazio minimo individuale pari o superiore a tre metri quadrati. Il detenuto – si legge in sentenza – era ristretto insieme ad altri due detenuti e disponeva di uno spazio di 3.03 mq ; detratto l’ingombro del mobilio, tuttavia, lo spazio effettivamente disponibile era di 2.85 mq «nettamente al di sotto del limite vitale di 3 mq stabilito dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo» la quale – nella nota sentenza Torreggiani – ha stabilito che ai fini della determinazione dello “spazio vitale” deve tenersi conto dell’ingombro dei mobili.

Ricorreva in Cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Padova deducendo l’errore di diritto da parte del magistrato di sorveglianza consistente nell’aver sottratto dal computo della superficie utile l’area occupata dall’armadietto. La giurisprudenza della Corte EDU – sostiene il P. G. nel ricorso – ha fatto riferimento alle sole dimensioni dell’immobile a prescindere dalla «ovvia presenza di mobili». Inoltre, il riferimento alla sentenza Torreggiani «sarebbe stato estrapolato dagli argomenti di parte».

La Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso della Procura e ha affermato che, in base ai parametri elaborati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, per la determinazione dello spazio individuale minimo intramurario, pari o superiore a tre metri quadrati, da assicurare ad ogni detenuto, deve essere scomputata dalla superficie lorda della cella l’area occupata dagli arredi.

I giudici ricordano come nel sancire il divieto di tortura e di trattamenti inumani e degradanti l’art. 3 CEDU non abbia tipizzato le condotte integratrici della violazione del divieto, né, analogamente, l’art. 27 c. 2 Cost. stabilisca specifici canoni per la determinazione dei trattamenti vietati.

Nel caso di specie, il magistrato di sorveglianza si è esattamente uniformato al criterio stabilito dalla Corte di Strasburgo nella citata sentenza, avendo scomputato dalla superficie lorda della cella del reclamante lo spazio occupato dall’arredo fisso. Non può essere condivisa, pertanto, l’obiezione del pubblico ministero fondata sulla mancata specificazione della superficie di ingombro da parte della Corte EDU.

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