Clamoroso a Milano: l’ex segretario della Lega, l’ex ministro dell’Interno e attuale governatore della Lombardia si è pronunciato a favore dei lavoratori immigrati. Non è giusto discriminarli e non è corretto un sistema che prevede per questi delle quote fisse, è la sintesi del suo pensiero. Convertito? No, semplicemente la dimostrazione del fatto che tutto è relativo. Roberto Maroni non si riferisce infatti ai lavoratori stranieri che vengono in Italia, ma agli italiani che cercano lavoro in paesi stranieri. I primi sono da respingere, i secondi da tutelare.
“Ognuno è a sud di qualcun altro” ricorda Michele Brambilla su La Stampa. Una verità particolarmente spiacevole per chi come il governatore lombardo ha fatto della discriminazione territoriale un suo cavallo di battaglia. Da ministro dell’Interno Maroni lanciò la politica di respingimenti per rimandare a casa loro, prima ancora che toccassero terra, i terroni di tutto il mondo che venivano a rubare il lavoro ai bravi e onesti italiani. Ma ora, in un divertente contrappasso dantesco, scopre l’ex segretario leghista che i terroni che rubano il lavoro agli onesti cittadini non sono i “bingo bongo”, i marocchini, i rumeni e tutti gli altri che in Italia o in Padania non sono nati. Ma sono, questa volta, proprio i suoi concittadini lombardi, definiti “topi” dai vicini Svizzeri. Elvetici che con un referendum che si terrà domenica prossima decideranno se chiudere la porta ai lavoratori transfrontalieri, così si definiscono quei lavoratori, italiani, che ogni giorno varcano la frontiera per andare al lavoro in Ticino.
Senza voler sminuire quello che per questi lavoratori della Lombardia rischia di essere un problema serio, la posizione presa da Maroni in vista del referendum fa per certi versi davvero sorridere. “S i tratta di persone che svolgono la loro professione, rendendo un servizio alla società ticinese – ha detto il governatore lombardo, che ha aggiunto -. La Svizzera non può considerare i lavoratori lombardi come dei topi. Sono dei lavoratori che operano oltre confine, hanno una dignità che va rispettata”. Ed ha ragione. O meglio la avrebbe se avesse sostenuto le stesse ragioni quando a voler chiudere la porta agli stranieri era il suo partito. Perché come è vero che gli italiani aiutano l’economia svizzera, è altrettanto vero che gli immigrati aiutano l’economia italiana.
“Per colpa degli immigrati la nostra disoccupazione è aumentata, i treni sono sovraffollati, c’è troppa criminalità. Questa situazione non è più sostenibile. Basta con l’immigrazione di massa: bisogna reintrodurre le quote”, è la posizione di chi, al di là del confine, vorrebbe che al referendum vincessero i “sì” alla chiusura della frontiera. Frasi che oggi fanno preoccupare e non poco Maroni, conscio che senza il lavoro in Svizzera l’economia della sua regione subirebbe un durissimo colpo, ma frasi che avrebbero potuto benissimo essere state pronunciate dal governatore stesso appena qualche mese fa.
L’ultimo sondaggio dice che, a oggi, solo il 43% degli svizzeri vorrebbe alzare le barriere alla frontiera. Ma da qui a domenica potrebbe esserci il sorpasso. Nella Svizzera italiana gli anti-immigrati sono il 54%. Il referendum, promosso dal partito di destra dell’Udc e dalla Lega dei Ticinesi, ha già avuto il parere contrario del governo, anche perché potrebbe creare seri problemi con l’Unione Europea. Metterebbe in discussione gli accordi raggiunti sulla libera circolazione delle persone, ma soprattutto – secondo il governo – “i danni per l’economia sarebbero ingenti”. I numeri dicono che i lavoratori che ogni giorno attraversano il confine sono circa sessantamila, tutti lombardi. Ai quali si aggiungo circa 500 mila italiani che risiedono in Svizzera.
E tra le prese di posizione e le dichiarazioni a firma leghista che rientrano appieno nella categoria del predicar bene ma razzolar male, una menzione d’onore la merita certamente la pattuglia del Carroccio al parlamento europeo. Quel manipolo di uomini che in occasione dell’intervento a Strasburgo del Presidente Napolitano si è alzato urlando “basta euro”, “basta banche”. Come rivela Marco Zatterin su La Stampa, quel manipolo di difensori del popolo, nemici giurati delle banche, quando si è trattato di votare… In occasione del voto sulla direttiva Ue che puntava a trasformare l’ insider trading e la manipolazione dei mercati in reati penali, sia Salvini che Borghezio hanno infatti votato contro, detto “no”. E dei venti voti contrari alla misura, sei erano leghisti. Il Parlamento europeo ha comunque approvato la direttiva con 618 “sì”. La lotta alla grande finanza? Per Salvini e Borghezio magari un’altra volta.